Maisie "Morte a 33 giri"
Ci avevano dolcemente trapanato i timpani con i
loro primi lavori i Maisie, perline no-wave forgiate da un magma primordiale
fatto di tutte le musiche del mondo, si erano travestiti da compositori
puri facendosi produrre e arrangiare da geniali eminenze grigie dell'underground
mondiale in un capolavoro che racchiudeva anch'esso tutte le musiche del
mondo, ci avevano rilassati svagati e divertiti con quel caleidoscopio poppeggiante
e sbilenco che era "Bacharach For President, Bruno Maderna Superstar",
con dentro tutte le melodie del mondo. Ma, per chi aveva orecchie per sentire,
in questo mare di musiche è sempre svettata, più importante
di tutto, un'anima, molto spesso nascosta, altre volte appena accennata,
un'anima melodica e italiana, l'orgoglio di essere nati e cresciuti in un
paese che ha prodotto pagine straordinarie di musica popolare e colta allo
stesso tempo, una musica che i Maisie non hanno mai nascosto di amare visceralmente
e verso la quale, consapevolmente o inconsapevolmente (da ascoltatore mi
permetto di azzardare - forse inconsapevolmente - ) hanno teso fin dagli
esordi.
E allora si ripresentano in questo 2005 i Maisie e adesso sono in quattro:
assieme ai fondatori del progetto Cinzia La Fauci e Alberto
Scotti, giocano Paolo Messere, titolare dei Blessed
Child Opera (riscoprite anche loro) e dell'etichetta Seahorse Recordings,
che co-produce il disco con Snowdonia, polistrumentista, arrangiatore, tecnico
e produttore, e la cantante Carmen D'Onofrio, straordinaria,
passionale, espressiva, voce meravigliosa che sa di sud, che è sud,
che ogni parola che pronuncia diventa atto di amore e sentimento.
Il disco "Morte a 33 giri", cantato completamente in
italiano, è il loro capolavoro assoluto, tappa finale di un percorso
iniziato anni fa e modificatosi pian piano, maturando ogni giorno un pò,
e capitolo iniziale di una nuova scintillante avventura musicale, un viaggio
nel cuore della musica per il cuore, emozione e commozione continua, gioia
e malinconia, un prisma sentimentale le cui infinite sfaccettature spaziano
dai Velvet Underground a Heather Parisi e
tutto quello che ci sta in mezzo, ma anche prima e dopo.
E a introdurci alle bellezze del disco sono i moderni beat della title track,
treno sul quale viaggiano le chitarre (arrangiate in tutto il disco in maniera
magistrale) e le voci incrociate e doppiate di Cinzia e Paolo, con uno struggente
violino a sottolineare l'umanità dietro le macchine, anzi sopra le
macchine. In questi quattro minuti iniziali è già ben visibile
il lavoro di rinnovamento che i Maisie operano non solo sulla loro musica,
ma sulla musica popolare italiana tutta, che svecchiano mantenendo un forte
appeal commerciale e arricchiscono con parole tanto belle e naturali che
paiono essersi scritte da sole. "Le donne, in gara per il primato
mondiale di sofferenze, ci appaiono come dolci fantasmi della coerenza.
Fate arrabbiate in un videogame "(ah, ah, no global in un videogame)…fai
click su off e spegni il 68, scivola sul 77, sull'85, sui Duran Duran. O
Duran o Spandau" recita il pezzo, chiarificatore della poetica
dei Maisie, tutta fatta di descrizioni di sensazioni e piccoli eventi della
quotidianità, la maggior parte delle volte talmente particolareggiati
e personali da fartene sfuggire senso e significato, e invece l'universalità
dei loro testi è tutta qua, nelle parole singole, negli accostamenti
di frasi, in un transfert automatico che rigetta le loro esperienze concrete
nelle nostre e tratteggia un disegno e una visione totale del mondo che
ci circonda e della realtà che viviamo onesta, appassionata, di critica
sincera perché dettata dall'amore, comunista nel senso più bello e poetico del termine.
"Vivan Las Casadenas", dieci minuti di estasi con una
lunga intro dolcissima e bucolica, spinta nello zucchero dalle voci di Cinzia
e Carmen ("La libertà ha delle controindicazioni che non
hai considerato/ Te ne accorgi sul balcone di cui ti vanti/ che forse tre
metri quadrati non sono poi tanti" - notate come i versi siano
connotati da un significato sempre multiplo, riferibile a temi sociali/universali
e amorosi/particolari allo stesso tempo - ) e una seconda parte di melodie
sottopelle, angeli che cantano, innocenza e navette alla Pastels,
la musica che si scurisce quando le parole si fanno più dure ("La
mia ansia di rivolta/ si annoia come un malato in barella/ come se si inceppasse
la rivoltella") e si distende e si rilassa nello spirito di una
rassegnazione che è in realtà voglia di fare, di migliorare,
di riuscire ancora, in un'epoca in cui la velocità con la quale riceviamo
le informazioni si avvicina a quella della luce, in un mondo in cui le stesse
canzoni hanno subito la mutazione da opere di ingegno a insiemi di byte,
a prenderci il tempo per riflettere sulle cose e a meravigliarci per le
cose belle ("Su coprire le carni!/ che vedono anche i bambini/
sì, ma poi, tutti al mare in bikini/ tutti al mare in bikini./ Urlo
in rewind/ di fronte alla barricata/ rimettetemi in catene/ rimettetemi
in catene").
La successiva "L'inverno precoce", picco assoluto del
disco per chi scrive, è musicalmente una perfetta hit radiofonica,
compositivamente ineccepibile, scorrevole, emozionante, l'indie pop che
incontra i gusti di Luzzatto Fegiz con uno dei ritornelli
più belli degli ultimi anni, capace di quello scarto emozionale che
da frasi che si canticchiano lo eleva a pura poesia. È una canzone
che con tutti i suoi echi e riverberi suona come un sogno e parla del sogno,
delle storie mai vissute, di quel mondo parallelo in cui la realtà quotidiana si fonde con una trama cinematografica rendendo possibili incontri
impossibili e trasformando in amore puro la vista e l'odore di una persona
sconosciuta con il caso a muovere tutto ("Ora di punta/ cappotto
sbagliato/ in mezzo al mercato/ sognavo di te"). E ne parla in
maniera straordinaria, con un taglio romanticissimo pregno di significati,
che vanno tutti verso la creazione di un sentimento che, perché irreale,
è ancora più vero, istintivo e primordiale che mai ("Lo
vedo non parli/ parcheggi lontano/ la panda ammaccata/ la targa straniera/
la giacca rubata mi parla di te./ E non ti conosco/ e non mi conosci/ e
mangi un gelato/ io bevo un caffè./ Tepore sognato di quelle coperte
in offerta speciale/ le compro per te") ; spiarsi, rubarsi cose
e farsi i regali, immaginarsi scene insieme, amare l'odore, l'atmosfera
che una persona emana senza nemmeno conoscerla, l'attaccamento morboso e
feticista agli oggetti e, nel ritornello dolcissimo di zucchero colorato
di blu nero e bianco ("Ma tu ti allontani/ che freddo alle mani/
aspetto gli amici e parlo con me/ un mare di piume che cade veloce/ l'inverno
precoce odora di te"), la bellissima immagine di "un
mare di piume che cade veloce", le piume di un giubbino di piume
che è l'inverno precoce cadono veloci come in un film modificato
in digitale, un flash nella realtà che torna prepotentemente nella
seconda strofa ("sono una forza/ spingo i pulsanti/ maneggio la
stecca come un campione/ e Luigi è un coglione se vuole sfidarmi/
ti giuro vent'anni/ lo ricorderà"), nella quale il richiamare
contesti e argomenti quotidiani sembra l'unico modo per contrastare la voglia
di rifiondarsi nel proprio spazio filmico (che sia "La Doppia Vita
di Veronica" o "Sposerò Simon Le Bon"
non ha importanza, quello dei Maisie è entrambi); ma intanto, mentre
si aspettano gli amici, in questa realtà nella quale capita spesso
di non essere se stessi e soprattutto capita di perdersi momenti e sensazioni,
il freddo alle mani di cui parla questa canzone e i processi mentali da
cui scaturisce così ben descritti rappresentano la complessità
di uno dei sentimenti se non più belli di sicuro più "solo
nostri" che si possano provare.
Il trittico di canzoni successive, "Maria De Filippi (una vergine
tra i morti viventi)", "Sistemo l'america e torno" e "?Uma.no" rappresentano il cuore più cupo del
disco e si snodano come un'unica grande riflessione che parte dal tema del
disagio generale ("Ho messo da parte un altro cadavere perché/
non credo più a niente/ Ah, la luce blu/ vedo dal monitor che ci
sei/ sono i tuoi ultimi istanti di vita/ sarai sepolto dalla saliva delle
bocche"), attraversando la rivendicazione di una diversità
rispetto agli abitanti dei "paloebarattoli" per dirla alla Zero ("Quel che mi disturba è la tua faccia/ quel modo di portare
i capelli come se non fosse importante/ quel che mi disturba è vedere
che ti commuovi con Bob Marley/ sognando una Harley nel deserto/ quel che
mi disturba è che parli di Roberto/ morto di overdose/ come le mille
altre cose da sistemare/ beh, ok, va bene/ ci si becca dopo/ vado a mangiare/
vado a mangiare"), arrivando a toccare amore e sentimento senza
alcuna soluzione di continuità stilistica, narrativa ("il
tuo senso critico/ il tuo fare logico/ mi butta giù….ti manco/
sento che ti manco (sei umano e non lo sai)/ ti manco/ sento che ti manco
(sei umano anche se non vuoi più, non vuoi più)")
e musicale, passando dal cupo mantra di "Maria De Filippi" alla ballata acustica-apocalittica di "Sistemo l'america e torno" fino ai Matia Bazar targati 2005 di "?Uma.no".
"Finché la borsa va lasciala andare" ironica fin
dal titolo (ma non troppo), synth-pop italianissimo, svela un altro dei
lati del pensiero Maisie, la consapevolezza che l'andare "contro"
a priori è un non andare contro in realtà, che fare l'intellettuale
per il gusto di fare l'intellettuale è solamente un fare i fessi,
che per chi certi sabato pomeriggio non li ha vissuti un paio di scarpe
nuove può rappresentare un importante punto di svolta ("nel
mio caso sto lodando il consumo e non avverto disgusto/ mi trovo bene/ non
mi taglio le vene/ mi trovo bene/ non mi taglio le vene/ Magici sabato pomeriggio/
mai vissuti/ tipi in giro con le scarpe nuove/ e le vuoi anche tu/ le vuoi
anche tu").
E poi arriva "Sottosopra", splendido inno d'amore, quando
il ruolo della coppia, la complicità, l'affinità, il volersi
bene è talmente centrale e totalizzante che il resto del mondo appare
deformato, rivoltato ma comunque bellissimo, al di là di spazio e
tempo, e oltre ai lampioni che crollano, al cielo verde e al sole, diventano
concrete e visibili e gialle anche le idee ("mi ricordo che/ tu
volavi morbida/ sotto il cielo stava verde su di noi/ Crolla tutto/ i lampioni
su di noi/ qualche idea stava gialla su di noi/ mi ricordo che/ tu sembravi
morbida/ e cadendo giù superavi il tempo/ sottosopra").
Cantata da Cinzia e Bugo, quasi interamente suonata da
Messere che gli conferisce un taglio languido, malinconico e struggente,
con in coda un lungo solo di flauto che accompagna i corpi in caduta libera, "Sottosopra" è colonna sonora perfetta per un
"volersi bene" di battistiana memoria nonché un mettere
in gioco i propri sentimenti talmente esplicito da fare quasi paura.
Il disco si conclude con i due pezzi successivi, "Allargando le
braccia", come se l'amore di "Sottosopra" sia
passato ma mai finito, mistico, quasi religioso ("fai sì che la grazia su di noi ridiscenda/ allargando le braccia/ allargando le
braccia"), ma anche prepotentemente terreno e carnale ("Ho
bisogno del tuo paradiso/ di una sigaretta dal fuoco blu/ che accendendoti
la guancia in un sorriso ci riporti su/ dove il più magico dei tuoi
profumi/ diventa balsamo per il sole/ ho bisogno di questo dolce miele/
del tuo autentico sudore") e "Una canzone riciclata",
posta in chiusura come summa di tutte le tematiche affrontate nel corso
del disco, schiaffo in faccia finale da parte di gente che, alla faccia
di robot e replicanti, ancora vive col cuore che pulsa ("C'è
un deficit di realtà/ me ne accorgo chiaramente da come cammina la
gente/ e una vicina con la borsa della spesa/ ingombrante anche se non pesa…
i muri non si abbattono a testate/ e le zuppe riscaldate e le maglie rilevate
e cento morti rimandate/ L'esistenza chiusa in cella/ una canzone riciclata/
guarda lo schermo con attenzione/ è un attentato moltiplicato/ E
non ci capisci niente e neanche ti lamenti/ e non ci capisci niente e neanche
ti lamenti").
Con "Morte a 33 giri", i Maisie aprono un nuovo corso
per la musica popolare italiana, riuscendo ad amalgamare tutte le loro influenze
musicali in un unicum che trasuda passione e melodia da tutti i pori, scrivono
testi dal significato profondissimo, metricamente stupendi come se fossero
già classici, il tutto con uno strepitoso fascino di superficie leggero
e popolare, confezionando uno dei più bei dischi prodotti in Italia
negli ultimi anni.
Si meriterebbero di fare i soldi, altroché. (8.5/10)
Nicola Mazzocca - Ondarock
Intorno agli anni ’80, assistemmo alla consunzione del Festival di
Sanremo. Vi furono delle edizioni assolutamente comiche, dove si esibiva
chiunque: bastava un pò di stravaganza per stare lì. Ne assistevamo
sgomenti i partecipanti che erano belli perché sembravano buffi,
veri e propri saltimbanchi inconsapevoli. Furono edizioni oscene, e avrebbe
dovuto presentarle Aldo Nove per dare ad esse l’istanza
“metacritica” in grado di riabilitare ciò che in apparenza
sembrava scalcagnato. L’estetica moderna del riciclo ha formidabili
colpi in canna a patto che si snodi tra eccessività, autoironia,
consapevolezza storiografica.
È d’obbligo qui dichiarare una certa difficoltà avvertita
durante l’ascolto e l’assimilazione del nuovo disco dei Maisie,
disagio provato soprattutto nell’immaginarmi le fasi cruciali che
hanno portato il loro lavoro prima ad essere un disco di musica pop cantata
in italiano, e poi a stabilire quanto di aggiunto vi sia nella produzione
del disco, quasi di “extra”, se questo termine venisse ad intendere
non una produzione “indiretta” ma un vero e proprio ingresso
nella band dei napoletani Paolo Messere e Carmen
D’onofrio. M’immagino i nostri beniamini Maisie entrare
in un vero e proprio studio di registrazione con del materiale che viene
di volta in volta lavorato, limato, smussato, a cui si aggiungono altri
musicisti, ospiti, e via dicendo. Ciò porta un cambiamento e sostanziale
nell’intera modalità di concepimento del lavoro, per chi, come
me, era abituato all’ascolto delle produzioni precedenti, veri e propri
capolavori della “now-wave” italiana!
Allo stesso modo con cui Bobby Conn rileggeva il glam,
i Masie decrittano la musica pop italiana, in particolare quella “sanremese”,
in un via vai di stili, acconciature, effetti più o meno speciali
ed arrangiamenti di notevolissima complessità come possono esserlo
quelli di “Gommalacca” di Battiato:
un vero arabesco multifunzionale, che guarda dal folk all’elettronica
senza rimanere imbrigliato in niente di definibile, consuetudinario. Guardano
evidentemente a quella deriva sanremese poppettara ma scazzata, già frutto di contaminazione e deriva, e lo fanno con quella solita intelligenza
che contraddistingue la loro produzione, ma stavolta con qualcosa che appare
straordinariamente professionale, speciale. Se fossimo in un saggio di Perniola lo definirei “Mutant-pop” questo, non lontanissimo dalla nipponica
bulimia a cui siamo abituati dalla Snowdonia, tendente ad un equilibrio
talvolta esatto tra gioco e serietà, ma sarebbe ancora troppo stiloso
come atteggiamento, ancora troppo autoindulgente rispetto alla spossatezza
con cui invece si presenta questo disco, ovvero sempre ad un passo dal suo
limite, dal suo rovesciamento. Gli stessi testi, che sembrano scritti (e
volutamente si spera) in tono giocoso come fossero frutto di una quindicenne
frungolosa e incerta, in certi momenti diventano ferenti, rattristanti ed
ispirati (“E non eri nessuno se non amavi i poeti, io fingevo
di amarli per pura viltà. E arriva la crisi dopo la scuola, arriva
la vita che ci ucciderà”; “Ho messo da parte un altro
cadavere perché non credo più a niente”; “C’è
un deficit di realtà, me ne accorgo chiaramente da come cammina la
gente e una vicina con la borsa della spesa, ingombrante anche se non pesa”)
e questo avviene proprio quando un attimo prima sembrava lo scherzo a farla
da predominio. Eppure nella complessità e risolutezza formale con
cui si presenta questo nuovo lavoro dei Masie convivono due anime, che appartengono
a due sistemi sonori differenti, e ciò si avverte soprattutto quando,
come nella bellissima “Sottosopra” (canzone cantata
da Bugo) la produzione viene affidata totalmente a Paolo
Messere, che opera tenendo presente ciò che gli riesce meglio, e
che in effetti è totalmente diverso da ciò che i Maisie sono
sempre stati. I brani più sconvolgenti sono la tuxedomooniana “Morte
a 33 giri”, “L’inverno precoce” dove
i Cure spadroneggiano, i ritorni della Rettore in “Finché la borsa va lasciala andare”, l’intro
che forse commemora Luis Miguel. Il resto
del disco è godibile, certo, ma soffre di una produzione troppo sbilanciata
sul versante Blessed Child Opera, manca di quella carica
frizzante, festosa, leggera, di cui i Maisie si sono sempre nutriti non
solo come marchio snowdoniano. Ed invece tiene dentro la tinta chiaroscura,
soprattutto dei primi esordi della formazione napoletana. Ci sarebbe un’altra
lettura evidentemente, e provo a snodarla. L’ipotesi che questo fosse
un disco davvero di musica leggera, con i suoi pro ed i suoi contro. In
ogni modo questa soluzione non renderebbe più emozionante il lavoro.
Si sente un logico salto di produzione, di qualità sonora, ma resto
dell’idea che i Maisie dovevano starsene in casa e registrare su microfoni
di 3 euro come hanno sempre fatto. Io spero che si siano divertiti un casino
perché il disco ha una risolutezza davvero rara nel panorama della
musica “indie” italiana, tuttavia è proprio questa doppia
portata, questa doppia natura del lavoro, o meglio i momenti in cui non
avviene integrazione totale ed i brani sembrano o dell’una o dell’altra
formazione, che si sentono forse dei limiti nella scelta del mood adatto.
Il prossimo Maisie sarà dedicato al revival dei Cugini di
Campagna, metastorica formazione di cui tutti noi serbiamo ancestrali
ricordi e capogiri.
Salvatore Borrelli - Sands zine
Maisie, canto e disincanto Mi permetto di proporre al ministero della Pubblica
Istruzione che il disco dei Maisie, “Morte a 33 giri”
(co-prodotto da Snowdonia e Seahorse), venga adottato nelle scuole tra gli
strumenti didattici. Sarebbe utile, con il suo “racconto in note”
, per riflettere - nell’ora di filosofia, o di religione, o di educazione
civica… - sulla disillusione giovanile (il canto ed il disincanto).
Il cd tratteggia l’agonia di una generazione che ha “spento”
il '68, il '77, l’85 (come si sottolinea nella title track). E oggi?
Per i Maisie c’è una generazione di morti viventi che hanno
anche la loro Maria Goretti (Maria De Filippi a
cui si dedica un brano). Si canta il “disgusto” per i falsi
miti («La mia ansia di rivolta si annoia come un malato in barella»);
si urla ma con toni distaccati, come se si fossero perse emozioni, sentimenti,
passioni. È un disco ermeticamente “funereo” (un tarlo
divora cerebralmente sin dalla nascita, come raffigura la cover) perché
si osservano le contraddizioni (si guardi la raffigurazione al centro del
booklet di fabbriche asfissianti, di veleni industriali sparsi nei fiumi
e su quello sfacelo c’è chi dipinge paesaggi bucolici ed acque
limpide). È tutto “Sottosopra” ( come il titolo
del brano in cui si canta «l’ombra del sole su di noi»).
Non si riesce a comunicare, più che umani si è robot…
Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, colonne
dei Maisie (anche se non va minimizzato il contributo degli altri due componenti
Paolo Messere e Carmen D’Onofrio)
sono cantanti, discografici, compositori (Cinzia è anche grafica
ed ha disegnato la cover ed illustrato il booklet con Stephanie Gaeta).
La loro è musica alternativa, post-rock, con programmatori, strumenti
campionati. Sprazzi progressive in “Sistemo l’America e
torno” che ci ricorda - forse per la presenza di un suggestivo
violino e dei guizzi delle vocalist - la suite “Aria” dell’Alan Sorrenti dei Settanta. Non si pensi che
sia il solito disco di “tre allegri ragazzi morti”
(anzi quattro, essendo i Maisie un quartetto); non c’è, nonostante
tutto, una visione nichilista. Si pensi al brano “Allargando le
braccia”, in cui si invita ad “accogliere” nell’abbraccio;
a cambiare («Ho bisogno di un orizzonte, per ritrovare ancora
te, cercandoti tra le ombre al limite di questa città»).
E non è un caso che ci siano brani cantati anche in giapponese ed
in arabo. Non ci si può chiudere nel proprio “io”, nei
propri limiti e paure. “Morte a 33 giri” può
anche significare che abbiamo, noi non più giovanissimi, le nostre
responsabilità (penso a Giorgio Gaber che cantava “La mia generazione ha perso”…). Sì, questo
disco andrebbe portato a scuola. Ragazzi mettetelo nello zaino.
Gaetano Menna - Mondo Agricolo
"Ho messo da parte un altro cadavere perché/ non credo più a niente": mumble, mumble... vorrà dire che Cinzia chiude
gli occhi di fronte all'ennesima fotografia scattata in Iraq, oppure che
Alberto è a dieta e ha stivato l'ultimo scorfano nel freezer? E come
li cataloghiamo, i Maisie di questa Morte a 33 giri? I più
indie della musica legggera (direbbe mio cugggino) o i più canzonettari
dell'indie? Sono serissimi nel loro cedevole nichilismo o ci stanno pigliando
per il culo con una rete a strascico? Abbiamo a che fare con una coppia
(vabbè, un quartetto) di geni compresi o con un'associazione per
delinquere dedita al riciclaggio di musica sporca, una centrale di smistamento
delle griffe contraffatte?
Si faccia una domanda e si dia una risposta, se non fosse che le domande
sono già troppe e forse le risposte sono A e B e magari anche C...
ma una cosa è certa: se per caso, dico per caso, questo cd vi finisse
in un qualsivoglia apparato di riproduzione, non ve ne sbarazzereste tanto
facilmente. Perché la musica dei Maisie si appiccica alle orecchie
così come un pappone di miele e tahin è in grado di egemonizzare
la cavità orale a tempo indeterminato, e forse un po' gli assomiglia:
una bomba di energia che mescola la dolcezza animale del miele e la spigolosità vegetale del sesamo spremuto e lavorato a crema.
Il buongiorno comincia a vedersi dal booklet, che poi con i Maisie succede
un fatto strano: sono in grado di farci ascoltare le immagini, come tutti
potranno verificare avvicinandosi al sontuoso libretto, ma anche di farci
vedere i suoni. Un esempio: fai partire L'inverno precoce e ti
ritrovi per davvero in un mercato, poniamo quello di viale Europa a Messina,
praticamente un modellino di suq, dove fai un carico di ricotta infornata
e olive schiacciate, e quella Panda ammaccata te la becchi fra le palle
in doppia fila. Fermo immagine: se Caterina Caselli Sugar
si mettesse di buzzo buono e lo scienziato Doc di "Ritorno al futuro" le desse una mano, questa canzone - nonostante il titolo fuori stagione
- rischierebbe di vincere il "Disco per l'estate", mica
le imitazioni dei giorni nostri, ma quello del '72 o forse addirittura quell'altro
del '69.
Dice: dopo avermi menato per l'aia come un cane, adesso però me lo
spieghi, a me che non li ho mai ascoltati prima d'ora, che cazzo fanno questi
Maisie? Uhm... musica italiana fin dai testi, ma anche se la definizione
ha una sua profondità, a qualcuno suggerirà poco o niente;
restringendo lo zoom, diciamo allora un pop mediterraneo e creativo spruzzato
di elettronica, un bel piattone - unico in tutti i sensi - di pasta al forno,
meditato in lunghe traversate sulla direttrice Messina-Napoli. Con il "2
senza" Cinzia La Fauci (voce e tromba, bah) - Alberto
Scotti (tastiere, arditi campionamenti e tante altre cose che vi
farete dire da lui la prima volta che lo incontrate) diventato in mare aperto
- magna cum audacia - un "4 senza" grazie all'ingaggio di Paolo
Messere (il leader dei Blessed Child Opera fa
l'one man trio suonando chitarra, basso e batteria) e Carmen d'onofrio (una calda, intensa e chiaroscura voce partenopea che ben s'intreccia con
la vocalità impertinente di Cinzietta).
Per strada il "4 senza" ha imbarcato non acqua, ma altri compagni
di viaggio, da Stefania Pedretti (Allun/Ovo)
a Tae Tokui dei Tottemo Godzilla Riders,
da Riccardo Amabili degli Scarapocchio
al redivivo Bugo, il quale Bugo in Sottosopra
spiega a Gianluca Grignani che cosa il fighetto milanese
non è riuscito a fare in una dozzina d'anni. Dall'ammiccante citazione
di una baby trash star come il portoricano Luis Miguel
(Ragazzi di oggi, con un recitativo non molto più allegro
del Girotondo di Fabrizio De André, snocciola
i versi salienti del patetico inno sventolato dal malizioso bimbetto sul
palco di Sanremo '85) alla sconfortante Canzone riciclata che chiude l'album
(il quinto dei Maisie per la loro benemerita Snowdonia, sia pure in coproduzione
con la Seahorse Recordings di Messere), Cinzia, Alberto & Friends hanno
scritto tutti insieme spassionatamente una sorta di Wikipedia del pop. Da
tenere vicino al lettore cd, per consultarla ogni volta che servirà
o semplicemente quando ci verrà voglia. (8/10)
Ivano Rebustini - SentireAscoltare
Abbandonata l’estetica della dissonanza, pure cara all’etichetta
messinese e al suo curato roster, i creatori stessi del “mistero
snowdoniano” Cinzia LaFauci/Alberto
Scotti aka Maisie si arricchiscono del contributo della voce di
Carmen D’Onofrio e del polistrumentista Paolo
Messere. Il risultato è un lavoro decisamente fuori dal
comune, che testimonia palesemente dell’implosione di un cuore tutto
italiano nella cassa toracica delle influenze sperimentali straniere pilastro
dei lavori precedenti: i Matia Bazar incontrano il krautrock,
Mogol azzanna alla gola Siouxsie and the Banshees,
Rettore si contorce sui rumori sintetici dei New
Order. È nell’intersezione transnazionale tra suoni
e liriche che, dunque, nascono i picchi di un album rischioso e forse per
questo sorprendente, coerente come unità olistica ed efficace negli
episodi isolati come la battistiana “Inverno precoce”, “?Uma.no”, “Sottosopra” (cantata
da Bugo) e “Maria de Filippi (una vergine tra
i morti viventi)”, inno caustico alle nefandezze dei palinsesti
televisivi. Si viaggia bene, dunque, nelle dodici tracce di “Morte
a 33 giri”; si vaga, valigia alla mano, nella tradizione d’autore
di un’Italia il cui vissuto musicale accoglie, integra e spezza il
movimento “di genere” dell’album, a ritroso negli anni
ottanta americani e inglesi. In altre parole, un disco-manifesto per la
Snowdonia, una sintesi delle ambizioni che l’hanno resa un unicum
nella scena indie italiana
Marina Pierri - Il Mucchio
Rifletto su quello che l’ignoranza, bestia vigliacca che deride e
fustiga l’uomo suscettibile, prescrive al mondo odierno; rifletto
sull’ignoranza dei politici, sull’ignoranza di chi impartisce
regole che, forse, non verranno mai applicate. Rifletto sull’ignoranza
di chi colpisce il mondo senza alcuno scrupolo verso il prossimo, rifletto
sulla tristezza che agglomera l’intero globo terrestre. Imparo a macinare
sentimenti, emozioni, opinioni; imparo a criticare l’ignoranza di
una band che, trascinata da quella belva codarda, rimane anchilosata su
di un genere musicale. Rifletto sulla futile ignoranza astratta di quella
band che, per svariati motivi, non vira il proprio stile.
Il caso dei Maisie respinge e confuta le mie riflessioni banali, personali.
Provo a sviscerare il loro ultimo album, “Morte A 33 Giri”,
che isola i precedenti lavori discografici che, almeno apparentemente, oscillavano
fra la psichedelia di Barrett e la wave dei Residents.
Provo ad isolarmi, provo ad analizzare una band che si ri-presenta con un
nuovo look (ora con Cinzia La Fauci e Alberto Scotti,
anche Paolo Messere e Carmen D’onofrio,
Blessed Child Opera), un nuovo, morbido, vestito che li
rende più semplici, più italiani (lasciano l’inglese
per cantare totalmente in italiano). Provo ad immergermi nella loro cultura
di un gruppo che, dopo aver assemblato album sofisticati e sperimentali,
sprofonda nel synth-pop italiano (quello degli anni ‘80) e nella tarda
new wave (gli ultimi Wire, ad esempio) per sfornare dodici
perle ghermite dalla genialità di Scotti, tessitore di lunghe, algide
e contraffatte, ragnatele elettroniche.
I Maisie, circondati dagli amici dell’underground italiano (Bugo,
Stefania Pedretti - Ovo/Allun, Riccardo
Amabili - Scarabocchio e Tae Tokui
- Tottemo Godzilla Riders), si riprendono quello che l’Italia
del pop ha tralasciato negli ultimi anni, si riprendono la canzone italiana
pur non tralasciando innocui accenni post-punk. Con La Fauci e D’onofrio
alla voce, la band guarnisce i brani con deliziosi, ironici, rimati, eleganti
e passionali testi (“Morte a 33 giri”, “Vivan
las cadenas”, “L’inverno precoce”, “?Uma.no”, “Finché la borsa va lasciala
andare”, “Una canzone riciclata”) che invadono
e schiacciano la psiche umana. “Morte A 33 Giri” è
il capolavoro targato Maisie, il capolavoro che mancava alla scena dell’underground
italiano, il capolavoro che sa d’Italia, il capolavoro che Tenco
avrebbe voluto ascoltare e firmare. Lineare, unico, coinvolgente, amabile,
Maisie. (10/10)
Francesco Diodati - Rockon
L’ennesimo travestimento degli Maisie, che hanno ormai adottato la
lingua natia assieme a tutta la scuderia Snowdonia, è in parte nel
segno di una raffinatissima pop-wave, in parte nel connubio di voci femminili
che vede l’impareggiabile Cinzia (peraltro ancora migliorata come
cantante, come testimonia la bella prova di “?Uma.no”)
confrontarsi con l’altrettanto versatile Carmen D’Onofrio,
capace di esprimersi con innocente dolcezza come di trasformarsi in memorabile
dark lady (“Allargando le Braccia” è da brividi).
Il lo-fi rock drammaticamente evocativo de “L’Inverno Precoce” vede il loro canto intrecciarsi in un dialogo sublime, rischiando di oscurare
il preziosissimo lavoro di Alberto, gran tessitore di suoni e ritmi (magnifica
la sua drum machine nella title-track, decisamente proiettata su coordinate
avant-garde, con il violino di Alfredo Spinelli ad aggiungere
un altro colore fondamentale). La forza dirompente dei testi, propensi all’introspezione
e al ricordo personale seppur velati di ermetismo, è un altro elemento
che salta subito all’occhio; non che l’album manchi di ironia
(abbiamo pur sempre Maria de Filippi “vergine tra i morti viventi”
che si racconta in un giapponese improbabile ed ospiti come Stefania
Pedretti o come Bugo, che si scatena da par suo
attraverso la nebbia elettronica di “Sottosopra”).
È solo che l’ironia non agisce da freno inibitorio per i sentimenti.
Lo diremmo un disco più sincero, senza nulla togliere ai precedenti. (4/5)
Enrico Ramunni - Rockerilla
Lo ascolti, tutto intero, e poi ci rifletti su un attimo. E non capisci
se quello che hai appena ascoltato può essere definito con un termine
diverso da "capolavoro". Si si, è un po' rischioso cominciare
così, lo so ma quando ci vuole probabilmente ci vuole. E non badiamo
a spese. Certe parole vanno bene in questo caso.
"Morte A 33 Giri", si diceva, dei Maisie, che per la
prima volta si cimentano con la lingua italiana. Maisie, ossia Cinzia
La Fauci e Alberto Scotti che si arricchiscono
con la preziosa chitarra e voce e quant'altro di Paolo Messere (Blessed
Child Opera) e con la voce partenopea di Carmen D'Onofrio.
E ci consegnano un vero e proprio gioiello, di quelli da rimirare a lungo.
Ci si potrebbe dilettare parecchio in questa recensione, a tirar fuori etichette,
influenze, denominazioni più o meno alternative e gioviali, ma sarebbe
controproducente.
Perchè "La morte a trentatre giri" è un disco sinceramente
pop, orgogliosamente pop, perchè forgiato in Italia, paese che ha
prodotto pagine indimenticabili di musica popolare. Forse troppo spesso
nascosta o dimenticata. Si, è vero che questo disco è variegato,
tra effetti elettronici e sfaccettature un po' new-wave, e mi fermo qui,
ma è fondamentalmente pop. Semplicemente e magnificamente pop.
I Maisie riescono a descrivere con semplicità quasi geniale sensazioni,
ricordi, scene di vita quotidiana, il tutto con una cura dei particolari
fuori dal comune. Ma forse non è "cura dei particolari"
l'espressione esatta. Perchè è tutto così naturale
da non sembrare neanche vero.
Eppure "L'Inverno Precoce" che ricorda certo nostalgico
pop all'italiana ti porta sul serio al mercato. Con la mente almeno.
"L'Inverno Precoce" è un pezzo perfetto, poi.
Starebbe benissimo in high rotation in certe radio, in certe tv. Con un
ritornello che ti rimane in testa, lo canticchi, e ogni volta ne riscopri
la poesia. Puro romanticismo, in fin dei conti, solo con un taglio diverso,
irresistibilmente accessibile a chiunque. ("Ma tu ti allontani
/ che freddo alle mani / aspetto gli amici e parlo con me / un mare di piume
che cade veloce / l'inverno precoce odora di te") Peccato che
non sarà così. E io non voglio stare qui a discutere pezzo
per pezzo questo disco. Mi sprecherei in complimenti, per una volta quantomai
meritati. E non sono solo complimenti quelli che si meriterebbero i Maisie.
Una volta ogni tanto un po' di giustizia ci starebbe bene nel panorama musicale,
italiano e non.
Volete giustizia? Compratevi sto disco, per piacere. (5/5)
Zappo - Impatto Sonoro
Se tutti i dischi pop italiani fossero così curati, sarebbero davvero
molto belli.
Cinzia La Fauci - Carmen D’Onofrio - Riccardo Amabili - Alberto Scotti
- Paolo Messere confezionano questa “Morte a 33 giri”
lavorando minuziosamente su ogni singolo brano del disco in questione. Spesso
i brani ospitano altri musicisti creando davvero belle canzoni (certo è
che se un festival come quello di Sanremo avesse canzoni concepite come
in questo lavoro, sarebbe davvero un bel festival), cito il Festival di
Sanremo perché è ciò che mi è venuto alla mente
ascoltando i Maisie con questo “Morte a 33 giri”.
Non è facile definire questo lavoro poiché è un variare
di stili e arrangiamenti tra l’altro molto interessanti dall’aria
pop ricca di contaminazione. Potrebbe per la professionalità svolta
essere un disco da classifica. (Io lo spero)
Tutto il lavoro ha un sapore musicale giovanile oserei dire molto adolescenziale,
rotto a tratti da passaggi ispirati, mischiati a arie giocose e leggere,
intrise di parole intelligenti e in certi momenti i testi sono poeticamente
malati, tanto da far risultare il CD a tratti inquietante.
Un lavoro cosparso di frasi davvero efficaci per la mente dell’ascoltatore:
" …e non eri nessuno se non amavi i poeti, io fingevo di
amarli per pura viltà. E arriva la crisi dopo la scuola, arriva la
vita che ci ucciderà…"
oppure: “ …ho messo da parte un altro cadavere perché
non credo più a niente…"
o: “… la mia ansia si rivolta si annoia come un malato in
barella, come se si inceppasse la rivoltella, a cosa ti serve la libertà?
…."
o ancora frasi come: “…Le donne in gara per il primato mondiale
di sofferenza, ci appaiono come dolci fantasmi della coerenza…"
A mio avviso i brani più interessanti di questo disco dei Maisie
sono: “Sottosopra” con la partecipazione di Bugo
e una grande produzione di Paolo Messere.
“Morte a 33 giri” che ha un sapore Tuxedomoon e “Inverno precoce” pervasa da un aria alla The
Cure e “Allargando le braccia”, malinconica
dove si possono notare echi di una certa new wave colta condita da un buon
uso di elettronica. L’ultima traccia “Una canzone riciclata” io vi ho trovato vaghi sapori alla Matia Bazar dei tempi
più elettronici inizi 80.
“Morte a 33 giri” lo potrei definire un grande lavoro
e spero possa servire sia al gruppo dei Maisie, sia a dare uno scossone
per la nuova discografia italiana.
Luca Gennai - Orsi Toscani
I Maisie sono in gran forma e proseguono nella loro corsa dissacrante cercando di entrare nel firmamento del miglior pop indipendente d'autore. Il connubio (pop-indipendenza) potrebbe sembrare un pò ardito ma potrebbe portare a ristrutturare antiche credenze da seppellire che vogliono il popolar italiano mestiere spesso gretto e di basso livello culturale.
Per loro comunque il pop rimane un giochetto di facciata e non riescono a nascondere la devianza e la follia che affiora sovente in tutti i pezzi di questa "morte a 33 giri". Entrare nel mondo dei Maisie vuol dire affacciarsi a un luogo il più possibile caleidoscopico che a tratti può essere caldo e trascinante a tratti freddo e introspettivo. Cardine fondamentale del progetto sono le due voci delle cantanti Cinzia e Carmen, a loro spetta l'arduo compito di portare a spasso l'ascoltatore nelle loro lande desolate per un'oretta, e di portare loro tramite i loro racconti e i loro testi surrealisticamente incredibili ad affrontare facendone il verso tutta una tradizione trash italica di stampo sanremese. Della sigla oltre alle due star fanno parte Alberto Scotti e Paolo Messere, che sono complici della cerimonia con uno sporco ed efficace lavoro di manutenzione, limaggio e colorazione dei 12 pezzi suonando un pò di tutto fra tastiere, percussioni, chitarre, bassi, batterie, xilofoni ed effettistica varia. Molti gli ospiti tra i quali: Stefania Pedretti (voce e violino), Bugo con voce e testo in "sottosopra" (una presa in giro dei Verdena quasi imbevuti nei My Bloody Valentine) e poi Tae Tokui la cantante dei Tottemo Godzilla Riders che intona soffusamente in giapponese nel finale di "Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi)" una marcettina ad andamento lento che dichiara l'avvenuta santità della soubrette in questione. Bella anche la voce recitante in arabo di Iyad Tuffaha in "...".
Marcello Consonni - Movimenta
Continua tra cangianti sinergie produttive l'attività della piccola ma combattiva Snowdonia, che parallelamente alle Soundtrack Stories del francese Falter Bramnk (visionari pastiche orchestrali per incalliti cinefili) propone il nuovo album dei Maisie, Cinzia La Fauci e Alberto Scotti in questo caso affiancati da Paolo Messere (Blessed Child Opera) e Carmen D'Onofrio (già voce dark degli Argine), più un drappello di ospiti tra cui Bugo e Stefania Pedretti (Allun). Quinta prova e prima in italiano, portando così in primo piano la schizofrenica vena politico-introspettiva dei testi. Una svolta che addolcisce, nelle melodie melò e nell'alternanza di voci femminili, il suono del gruppo, ma non lo rende meno atipico e irrequietamente sperimentale, tra spiazzanti bizzarrie (il giap-horror di Maria De Filippi) e sotterranei anti-hit (Finché la borsa va lasciala andare). Prendere o lasciare, il lo-fi pop più intelligente del reame. (4/5)
Vittore Baroni - Rumore
Credevamo che “Bacharach for President, Bruno Maderna Superstar!” rappresentasse, per il gruppo portabandiera di casa Snowdonia, il livello massimo di commistione con gli scenari del pop, e ci sbagliavamo. Abbandonata completamente l'estetica della dissonanza, il duo Cinzia La Fauci - Alberto Scotti accoglie in formazione il chitarrista/bassista/tuttofare Paolo Messere, leader dei Blessed Child Opera e deus ex machina della Seahorse Records, e l'ex dark lady Carmen D'Onofrio, cambiando pelle anche più di quanto fosse lecito aspettarsi e realizzando un lavoro che superficialmente potrebbe essere schifato e liquidato come musica leggera, ma che in realtà va glorificato perché, incredibile dictu, pur essendo musica leggera riesce ad avere un senso (anzi, ad avere ben più senso di tante produzioni indie di casa nostra, incolori e “carine”) nell'A.D. 2005.
Difficile indicare il segreto del successo di “Morte a 33 Giri”, semplicemente perchè le chiavi di volta sono più d'una: un buon inizio può essere costituito da qualcosa che va ben oltre la semplice adozione della lingua italiana, e cioè dal totale svisceramento, oseremmo dire dall'ostentazione, di quell'anima riconducibile alla semantica della popular music di casa nostra vista come centro del Mediterraneo, un'anima che trova nella D'Onofrio una straordinaria interprete, dal timbro sensuale e perfettamente complementare a quello impertinente della La Fauci. Di assoluto rilievo è anche l'impalcatura di tastiere ed elettronica allestita da un mirabolante Alberto Scotti, che rivela una rara capacità di introspezione e rigurgito postmodernizzante di decenni di electropop, no wave ed avanguardia, cui punto d'arrivo è la straordinaria capacità di rendere questo materiale sonoro assolutamente al passo con i tempi, e di pari passo assai palatabile.
Dalla straniante title track, eccellente manifesto programmatico che fonde tutti gli aspetti elencati finora e si chiude con la ripetizione del mantra “O Duran o Spandau” su beat sintetici umanizzati dal violino, alla successiva “Vivan Las Cadenas!” che nonostante il minutaggio in doppia cifra scorre via in assoluta scioltezza, si vira con nonchalance a pezzi come “L'inverno precoce” e “Finchè la borsa va lasciala andare” che sarebbero stati bene in bocca alla Carrà o alla Parisi passando per le atmosfere più cupe di “Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi)” e “?Uma.no”, in quello che è quasi un bignami del pop per i giovani d'oggi cresciuti troppo in fretta e troppo seriamente, pronti a dare per scontato più di quanto possano permettersi. Sui testi ci sarebbe da redigere un trattato, come hanno fatto penne più illustri per i Beatles o per Battisti, ma lo spazio tiranno consente solo di rimarcarne da una parte l'ottimo effetto e dall'altra la straniante e geniale peculiarità. Ad arricchire il caleidoscopio vocale, spiccano le partecipazioni della nipponica Tae Tokui dei Tottemo Godzilla Riders e di Bugo, che in “Sottosopra” offre forse la sua migliore interpretazione di sempre.
Il capolavoro di casa Snowdonia potrebbe costituire sia un nuovo paradigma per la musica popolare italiana, sia un oggetto non identificato cui avvicinarsi divisi tra sorpresa e ammirazione; il limitato tasso di giovialità interiore di chi scrive, unito alla conoscenza delle dinamiche del mercato discografico di casa nostra, induce, ahimè, a propendere per la seconda ipotesi, anche perché il suddetto mercato discografico emana un odore nauseabondo. (4/5)
Fabio Cagnetti - Kronic
I Maisie sono quello che si dice una band con una visione. Il progetto messinese di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti ha messo in scena nel tempo una sorta di poetica dell'organico. E il loro corpo che cambia, e cambia sotto gli occhi di chi, disco dopo disco, ascolta ad occhi chiusi, o cercando di sintonizzare almeno un senso guarda e basta, perché la musica dei Maisie è così ricca di sommovi-menti sanguigni e pieghe carnali da essere abbagliante. Con la line-up che si allarga a Paolo Messere dei Blessed Child Opera e alla cantante Carmen D'Onofrio, con collaboratori preziosi come, tra gli altri, Bugo, Tae Tokui, Stefania Pedretti, Alfredo Spinelli, "Morte a 33 giri" è il disco che ci si aspettava dagli snowdoniani, quello che segna il passaggio all'italiano. Ed ecco che senza la maschera dell'inglese il DNA maisiano si svela in tutto il suo carattere elegiaco. Questo disco ha le fattezze di un cerimoniale barocco, è dark e rigoglioso, ironico e straziato. Fin dalla lugubre intro Ragazzi di oggi che sfocia nella title-track, passi electro, cantato perso nel vento e un violino che gira un'aria dell'Est, si chiariscono le modalità di un viaggio senza protezioni in un immaginario in continua esplosione/espansione. Le voci di Cinzia e Carmen si fondono, mentre fasi di pop sognante si confondono in un ralenti incrociato con asprezze folk e musiche lontane. Lo sguardo è decentrato. E Vivan Las Cadenas!, il terzo pezzo, 10 minuti, e mentre si consuma la sua coda di filamenti stellari e baluginio spaziale, si è risucchiati dal tentacolare flusso maisiano. L'inverno precoce è la quintessenza della canzone italiana, echi 60, una Caterina Caselli in droga: "E arriva la crisi/dopo la scuola/arriva la vita che ci ucciderà". E il viaggio della perdita di sé visto attraverso le lenti deformanti della memoria e dell'innocenza. Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi) è una litania a metà tra le canzoni chiesastiche pop dell'Italia anni '70 e i This Mortal Coil, e consegna le sue movenze perverse a una coda in giapponese. I toni devozionali raggiungono un apice impressionante in Sistemo l'America e tomo, tossico raga-blues come una jam tra gli Spacemen 3 e il Claudio Rocchi di "Essenza". Umano porta a compimento questa fase di spiazzante trascendenza: "L'altro ieri contavo i pezzi / mi sembrava che ci fossero tutti/l'altro ieri battevo un record / mi sembrava che io fossi là/oh oh, non ci sono più, oh oh e nemmeno tu". Come in un risveglio brusco da un sogno spirituale, ecco finché la borsa va lasciala andare, con le sue sbarazzine mosse dance pop. Falsi movimenti e ribaltamenti di senso: Sottosopra è un languido, violento duetto pop tra Cinzia La Fauci e Bugo, con un finale desertico che ancora azzera la visione. Allargando le braccia, Carmen e Paolo voci portanti, ha una melodia inesorabile che prende alla gola. Una canzone riciclata chiude mescolando ancora le carte in tavola, strumenti giocattolo, voci sintetiche, ritmi sparsi, spiritelli, una canzone che cammina all'indietro, spaventando il buio. Doloroso e esilarante, naif e fermissimo sulle gambe, "Morte a 33 giri" dei Maisie è, insieme a "Golia e Melchiorre" di Bugo, l'unico disco italiano capace oggi di leggere il futuro. (8)
Christian Zingales - Blow up
Il mondo snowdonia è colorato, fantastico, fantasioso, favoloso, per non dire sberluccicante, un mondo dove le parole si incrinano e si incriccano sulle musiche e con le quali fanno a gara a chi è più sghembo [...].
Le formalità: il nuovo disco dei Maisie dura una sessantina di minuti, è diviso in 12 canzoni, presenta ospiti famosi come Bugo, Stefania Pedretti (Ovo), Riccardo Amabili (Scarapocchio), Tae Tokui (Tottemo Godzilla Riders), ed esce, anzi è uscito, il 10 settembre per la Snowdonia e la Seahorse, perchè questa volta a Cinzia La Fauci e soci si è aggiunto Paolo Messere (Blessed Child Opera). Partendo dall'episodio più bello, quello con Bugo, posso scrivere che nel pezzo si sente molto l'influenza dell'ospite in questione, al meno per le melodie, una canzone che rimane tale per poche strofe e poi si prolunga in divagazioni di strumenti elettronici e non; questo per spiegare l'anima del disco: sono vere e proprie canzoni (tutte più o meno cantabili con spiaggia e chitarra acustica) ma che vengono poste in ambienti musicali a dir poco fuorvianti, elettronica, rumori, violini, fisarmoniche flauti e di nuovo elettronica, poliglottismo e espressionismo Lo-fi, buoni sentimenti. Tutto suonato in tanti, ogni momento è colmo di persone che fanno qualcosa, come se in quel periodo nessuno avesse niente avesse da fare e avesse detto: "faccio un salto lì". I testi fanno corpo con la musica diventando belle immagini di vita moderna, per quanto surreale essa possa essere, giuro che colpiscono tutte il bersaglio tanto da spingermi a usare il termine politico (parola che non uso mai) per come queste rappresentino bene l'assurdità delle relazioni odierne tra le persone.
Non trovo riferimenti esterni per delineare meglio i pezzi e le sonorità (fatta eccezione di Cindy Lauper per l'ottava traccia) tutto è immerso nella sua surreale variazione di colori e tinte bizzarre, restano vere canzoni pop (non per forza bisogna fare tutto alla Nick Drake). Un disco che mi è piaciuto molto e che vi consiglio di sentire. (8)
Sandro Giorello - Uscita di Sicurezza
Nichilismo, lettura “alternativa” del repertorio nazional-popolare italico, sperimentazione che spazia dai 60 fino ai giorni nostri, testi agrodolci e tanta voglia di fare: questa la ricetta Maisie.
Per l'occasione al duo storico Cinzia La Fauci (voce e tromba) ed Alberto Scotti (tastiere, campionamenti e chi più ne ha più ne metta), s'aggiungono la voce partenopea, calda e variegata di Carmen D'Onofrio e la capacità di essere one man trio (chitarra, basso e batteria) di Paolo Messere (titolare del progetto Blessed Child Opera). Gente che sa il fatto proprio, insomma.
L'italico cuore della melodia è onnipresente in tutto il disco, ma il quartetto, musicalmente, guarda fuori i nazionali confini. Immaginate una dicotomia Matia Bazar vs Syd Barrett, De Andrè vs il krauter rock, Battisti vs Tuxedomoon, Tenco vs Cure, questo e molto di più son i Maisie.
Il sound Maisie spazia dal folk all'elettronica senza mai rimaner imbrigliato in definizioni stilistiche deterioranti, ma la freschezza e la capacità di estasiare con soluzioni, mai banali ed intelligenti, sono costanti in tutto il lavoro.
I testi, mai banali, affrontano diversi temi, tra cui spiccano: l'amore con influenza battistiana (L'inverno precoce), la cultura dei falsi miti propinataci dal tubo catodico (Maria De Filippi…), il tutto condito con una sottile ironia agrodolce.
Da segnalare in “Sottosopra” la presenza dell'eclettico cantautore Bugo che riesce ad aggiungere sfumature ad un disco già di per sé variopinto con la produzione di questo singolo brano affidata totalmente a Paolo Messere, che riesce a tirar fuori la spinta più rock dei ragazzi.
Oltre Bugo, collaborano Stefania Pedretti (Allun/Ovo), Tae Tokui dei Tottemo Godzilla Riders e Riccardo Amabili degli Scarapocchio, solo i nomi vi fanno capacitare della grandezza di questo progetto.
Curato, ben prodotto e molto interessante, questo album spunta fuori e rapisce.
L'ascoltatore non può non rimanere imbrigliato nelle soluzioni trovate dai quattro ragazzi e restar immobile ed estasiato.
Non può mancare nella vostra discografia, assolutamente. (8)
Rocco D'Ammaro - Alternatizine
Abituati alle folgoranti devastazioni no wave dei Maisie il primo impatto con “Morte a 33 Giri” è una strana sensazione in bilico fra stupore e beatitudine. Stupore perché Alberto Scotti e Cinzia La Fauci (con la compagnia ufficiale di Paolo Messere e Carmen D'Onofrio) si addentrano nel vero pop italiano e lo rivisitano con lucida intelligenza. Beatitudine perché il risultato è straordinariamente onesto nella forma (se vi verrà in mente il Festival di Sanremo non preoccupatevi, è inevitabile) ed intenso e coinvolgente nella sostanza. Un album complesso nella sua (solo presunta) semplicità, dove i Cure vanno a braccetto con Donatella Rettore ed un curioso retrogusto malinconico (siamo a Snowdonia, rammentatelo) viene assaporato con discreta continuità. I giochi fra melodie ed arrangiamenti, contaminazioni e potenziali omaggi, ironie e particolar forme di romanticismo rendono“Morte a 33 Giri” un disco ben più importante di tanti strombazzati fenomeni pop attuali. Anche i nostalgici dei vecchi Maisie se ne faranno una ragione.
Marco DelSoldato - Losingtoday
La diversità di incomprensioni unicamente destabilizzanti, l'etica morale di una longeva sensazione di volare destando non stupore ma rabbia esterna, volti di donne austere che fanno la fila attraverso i pensieri aperti di dei uomini senza scrupoli morali, che imbastiscono leggerezze su movimentazioni puramente casuali, diversità di intendere il mondo e la sua perplessità di base, estemporanea veduta di un paesaggio di abbondanza superlativa, prodotta leggerezza di un pensiero determinante solo in parte, candito dall'irriconoscenza di qualche omologazione di tipo vigente, relazionato all'universo strutturale di una malformata delucidazione positivamente induttiva, diversità come forma astratta di bellezza da riconoscere, da apprezzare, da amare in superficie, lasciandosi abbandonare lodevolmente, nella tendenza più uniforme dell'incongruenza relativista di informazione analizzante. Facile è perdere nell'immaginario di un collettivo stabilizzato dalla razionalità di un privilegio, più difficile e accorgersi della propria intelligenza post moderna, relegatura di varie sperimentazioni non sempre venute fuori dal proprio guscio irrazionale. Perdizione e sadomasochismo interno, perpendicolari di due caratteristiche facilmente ritrovabili in esantematiche rivendicazioni popolari, artefici di una moltiplicazione estemporanea di umiltà e vagabondaggio altruistico, privo di intolleranza audio visive e collaterali. Peso positivamente collettivo, su una base esterofila come quella dei Maisie, sottovalutata in esteriorità saccente, dalle masse inglobate di puritano sfogo esemplare, formazione che senza intendimento culturale, sposta la risonanza di un assioma, su destinatarie forme diversificate di genialità congenita, di esaltazione silenziosa da massimo minimo livello istituzionale. La leggerezza di estremismo che incide su una musica non identificabile in nessun possedimento di idee desolanti, musicalità prive di emendamenti razionali, che inoltra il concepimento strutturale di propria immagine, attraverso delle note riconducibili sopratutto, a disposizioni pseudo pop rock new wave, omologazioni non veritiere di un assorbimento neo facoltativo di assoluta rigidità libertina, di assoluta emancipazione esemplare. Ossimori e disavventure dal dolce spirito osservante, discorsi fuori luogo che determinano la costruzione di un genio, di un approccio semplicemente unico, di un disco fatalmente importante, evangelizzato dalla diversa inquietudine di base che riporta nelle proprie circostanze allappanti, nelle considerazioni dissocianti di un amor proprio da sviluppare in non eccessiva viltà splendente, in non eccelsa naturalezza istintiva.
Eugenio Nesci - Passione Alternativa
Prima o poi doveva uscire, mimetizzata tra le numerose pubblicazioni della sempre feconda Snowdonia, anche la nuova fatica di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, zoccolo duro della stessa etichetta nonché esponenti di quell'interessante mosaico sonoro che risponde al nome di Maisie.
“Morte a 33 giri”, questo il titolo del disco, un'opera che rappresenta un sunto efficace dell'intelligenza creativa del combo applicata alla melodia - questa volta in italiano e perché no, all'italiana - senza le banalità che spesso accompagnano forme espressive legate alla tradizione italica analoghe per indole ed obiettivi.
Per il nuovo viaggio i due musicisti si attrezzano chiamando a raccolta un pugno di amici, tra cui Bugo, Stefania Pedretti, Alfredo Spinelli, Paolo Messere, Carmen D'Onofrio, convinti di poter fondere in un'unica creatura, elettronica anni Ottanta e strumentazione folk, campionamenti moderati e coscienziosa ricerca armonica.
Ne escono dodici tracce piuttosto stratificate, caratterizzate da atmosfere decadenti e vagiti new wave, sviluppo lento e testi che parlano di adolescenza svanita, in cui la vena surreale del gruppo fa il verso al pop laccato di vent'anni fa senza apparire pomposa o superficiale.
Di particolare interesse il trip vacuo di Maria De Filippi, l'Heroin post-industriale di Sistemo l'America e torno, l'omaggio ai Kraftwerk di Una canzone riciclata, le derive quasi orientaleggianti di Morte a 33 giri, la Rettore di Finchè la borsa va lasciala andare. Brani in cui il violino insegue le basi elettroniche, la fisarmonica divide il palco col basso, l'armonica a bocca dialoga con lo xilofono, in una girandola di contrappunti strumentali spesso quasi fin troppo dispersivi nella loro abbondanza, tuttavia mai scelti a caso.
Una convivenza di stimoli che fa di “Morte a 33 giri” un'opera fondamentalmente riuscita, adatta ai nostalgici della decade dell'effimero – appunto gli anni Ottanta - ma anche a coloro che non si rassegnano a dover consumare – abitudine dei tempi moderni - soltanto musica da una botta e via.
Fabrizio Zampighi - Lift
Due anni fa i Maisie pubblicavano quel bel disco che è "Bacharach For President, Bruno Maderna Superstar!", un concentrato originale, sbilenco e divertente di new-wave, pop ed elettronica infarcito di citazioni più o meno colte, sconfinanti spesso nella parodia di quello spaccato di storia popolare da cui i Maisie hanno scelto di attingere a piene mani: da Piero Ciampi a Joe Squillo, da Alan Sorrenti ai Duran Duran, da Syd Barrett a Brian Wilson, da Maurizio Merli alla commedia sexy all'italiana, dallo Zecchino d'Oro a Democrazia Proletaria.
Su questo continuo gioco di richiami e ammiccamenti arricchiti da idee originali e suoni moderni, i Maisie hanno costruito la propria cifra stilistica, riuscendo sempre a camminare spediti come bravi equilibristi lungo quel filo sottile che separa il fare le cose belle per scherzo dal fare le cose belle sul serio.
Oggi i Maisie si ripresentano con questo nuovo album "Morte a 33 giri" co-prodotto da Snowdonia e Seahorse Recordings, in una formazione allargata: a Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, fondatori del progetto Maisie, si sono aggiunti in pianta stabile Paolo Messere, deus ex-machina del progetto Blessed Child Opera e titolare dell'etichetta Seahorse Recordings, e la cantante lirica Carmen D'Onofrio.
Sarà forse che è più semplice giocare a fare gli equilibristi in due piuttosto che in quattro, ma a questo giro i Maisie inciampano spesso, cadendo, però, sempre dalla stessa parte del filo: quella del fare le cose belle sul serio. E se "Bacharach For President, Bruno Maderna Superstar!" è un bel disco, questo "Morte a 33 giri" è un piccolo, straordinario capolavoro, una meravigliosa carrellata su quarant'anni di storia italiana e sui sentimenti più intimi, cantato interamente in italiano e ricco di pezzi dannatamente belli. Quanti? Io ne ho contati almeno cinque, a partire da "Vivan Las Cadenas!", dieci minuti di poesia pura, dolce e malinconica, accompagnata prima dalla fisarmonica di Paolo Coraggio e poi dal violino di Alfredo Spinelli quando le parole si fanno più aspre: "La mia ansia di rivolta si annoia come un malato in barella, come se si inceppasse la rivoltella".
Neanche il tempo di tirare il fiato sulla coda di "Vivan Las Cadenas!", facendosi cullare da voci angeliche e da suoni morbidi e avvolgenti, che in un batter di ciglia ci si ritrova catapultati nella successiva "L'inverno precoce", una delle migliori canzoni pop prodotte in Italia, una potenziale hit radiofonica intelligente e con il giusto tiro, perfetta sintesi tra Rino Gaetano e Baustelle: da una parte "E non eri nessuno se non amavi i poeti, io fingevo di amarli per pura viltà", dall'altra "E arriva la crisi dopo la scuola, arriva la vita che ci ucciderà". Già dal primo ascolto ci si tuffa lì, in quel mercato all'ora di punta, con il cappotto sbagliato e bevendo un caffè, mentre quell'altra persona lì parcheggia la sua Panda ammaccata con la targa straniera. La vedi, non la conosci, sogni di conoscerla: a pelle è quella giusta, forse perchè le storie non ancora vissute, sognate, sono sempre quelle più belle e sono anche quelle, però, che possono finire in un attimo: "Tepore sognato di quelle coperte in offerta speciale, le compro per te. Ma tu ti allontani, che freddo alle mani, aspetto gli amici e parlo con me".
Altro gioiello di questo disco è "Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi)", canzone che vede la partecipazione di Tae Tokui, voce dei Tottemo Godzilla Riders, nel toccante finale. Si tratta di una canzone cupa e amara sull'amore svanito, sulla disillusione che ne consegue, su quel monitor che fissi, ma non guardi, su quelle mille voci che senti uscire da quella scatola, ma che non ascolti: "Ho messo da parte un altro cadavere perchè non credo più a niente. Ah, la luce blu, vedo dal monitor che ci sei, sono i tuoi ultimi istanti di vita, sarai sepolto dalla saliva delle bocche".
Un capitolo a parte bisognerebbe aprirlo per "Sottosopra", scritta in maniera esemplare da Bugo, a cui sono bastate poche pennellate per riuscire a scrivere una canzone d'amore straordinaria, emozionante, struggente, tra voli morbidi, sole, cielo verde e lampioni. Suonata interamente da Paolo Messere (chitarre, basso, batteria e tastiere) e Carmen D'Onofrio (flauto sulla coda finale), cantata dallo stesso Bugo e Cinzia, a "Sottosopra" è impossibile trovare un difetto, anche dopo centinaia di ascolti.
"Allargando le braccia" è l'ideale continuazione di "Sottosopra": quell'amore infinito, ideale o, forse, solo idealizzato, è terminato, o, meglio, ad essere terminato è soltanto il rapporto, perchè, in realtà, cantano Carmen D'Onofrio e Paolo Messere: "Di questo amore mai finito, rimane il sangue che scorre qui, accanto al cuore mai smarrito, io così vivo ripensandoti. Splendida ebbrezza, fai sì che la grazia su di noi ridiscenda, allargando le braccia, allargando le braccia".
Canzoni impeccabili, ben suonate, testi veri, profondi, idee, emozioni: "Morte a 33 giri" è un disco perfetto, da ascoltare mille e più volte. Un disco che stupisce più di quanto ci si possa aspettare. Applausi a scena aperta e un consiglio spassionato: procuratevelo. (4,5/5)
Thomas Paulo Odry - Musicboom
Ci sono 3 gruppi che mi hanno sempre inquietato non poco: 1. Ovo, 2. Aidoru, 3 il primissimo Battiato. Non sono in ordine ma non è questo il punto. Il punto è che oggi sono arrivati i Maisie che hanno scalzato il buon Franco (il che per un gruppo è sempre un onore) dalla classifica. Premetto col dire che non mi aspettavo molto da questo lavoro, l'unico pezzo che conoscevo dei Maisie (tratto dallo Zecchino d'Oro dell'Underground) mi aveva davvero lasciato del tutto indifferente, ma mai è stato così bello essersi dovuti ricredere. Il Disco dei Maisie è affascinante, bisogna ammetterlo. È un insieme di messaggi-schiaffi subliminali, pensieri e parole distorti e sfocati da un'atmosfera perennemente tesa, pesante, resa etera e onirica da voci filtrate tramite distorsori e riverberi. Il disco ha quel maledetto charme nato da una perfetta alchimia tra -bravura nell'arrangiamento (C'è gente si strapperebbe i capelli se la lunghissima Vivan Las Cadenas fosse stata scritta da Manuel Agnelli, e già mi immagino le classiche frasi alla “grande prova di maturità”) , capace di miscelare sapientemente un sound italiano classico (L'inverno precoce, quasi in sound Perturbazione) con programming e beat tipici dell'elettronica o di quel pop elettronico che riesce sempre ad ammaliare (?Uma.no); -testi, che raccontano di esperienze normali (L'inverno precoce), disagi comuni e quelle frasi tanto classiche da pensare quasi impossibile riuscire a scoprirci un nuovo significato. Giocando con una sprezzante cinismo misto a un'amara e grottesca ironia, capace più di ferire che di far sorridere; - i suoni… È incredibile come la ricchezza di questi riesca a costruire una personalità distinta di ogni singola canzone, senza però infrangere la compattezza del lavoro stesso. Lo straziante finale di Sistemo l'America e torno, l'ipnotico incipit affidato ai Ragazzi di oggi… L'essere slegati dal bisogno di una produzione per il grande mercato permette ai Maisie di sfornare un lavoro che pulsa, che si sente nato più dall'urgenza di comunicare che dalla ricerca di “quel preciso suono d'archi che va tanto di moda ora”, che uscendo dai convenzionali schemi di missaggio anima il limbo di una realtà vista a rallentatore da un vetro appannato, e tutto questo è.. magico; - L'anima e la personalità del lavoro. Non un disco come tanti…Questo album lo senti addosso, parla come te perché hai i tuoi stesi ricordi. Un pò come il lavoro degli Offlaga Disco Pax sembra che i Maisie siano cresciuti non solo nella nostra epoca, ma proprio con noi, come uno di quei compagni che stava con te alle medie e al liceo ma con cui non hai mai parlato, e solo ora ti accorgi che forse era l'unico a pensarla davvero come te. Un disco che consiglio di ascoltare, anche se ha come controindicazione un'angoscia mista a depressione che vi trascinerete dietro fino a fine giornata. Non c'è qui il motivetto hit single, non c'è il ritornello killer, o il riff che spacca, c'è una cruda realtà che troppo spesso si vuole ignorare e dimenticare, e non sarete certo grati ai Maisie di avervi ricordato il perché.
Francesco Sciarrone - Rocklab
"Morte a 33 giri" è un disco che apre un baratro. La sbandierata morte del micro/solco è in realtà lo squarciarsi di un velo dietro cui tutto il concetto di "pop italiano" rimane appeso e sospeso sull'orrido in un celestiale capovolgimento di prospettiva che ci riporta - giustamente - con le gambe all'insù.
La pochezza incredibile di molti discografici di casa nostra, che marciano su finti rockers di provincia o si vantano di esportare cantanti, melodie e arrangiamenti banalissimi in tutto il mondo, per non dire del suicidio collettivo cantautoriale, è resa ancora più dolorosamente evidente dalla conferma che una via italiana a un pop che sia al tempo stesso intelligente, trasgressivo, ironico e divertente, oltre che musicalmente validissimo, c'è!
I Maisie giungono al loro primo disco in italiano - con risparmio di vocabolario, come acutamente ricordano nelle note di presentazione - dopo una serie di lavori eclettici e intelligenti, in cui la naturale tendenza indie-wave veniva fusa con intuizioni pop e lavorava materiali alti e bassi con la doverosa [ir]riverenza che si deve a entrambi.
Ora Cinzia La Fauci e Alberto Scotti si ampliano alla collaborazione dell'ottimo polistrumentista Paolo Messere e di Carmen D'Onofrio, la cui voce calda è in perfetta complementarità con quella piu' irriverente della La Fauci. Il risultato è - oltre che curatissimo dal punto di vista del lavoro di studio - una vera bomba!
La beffa di partenza, che introduce "Morte a 33 giri", è l'appello - ripreso da un celebre hit sanremese di Luis Miguel - ai "ragazzi di oggi", seguita appunto dalla title-track, che dipinge sopra un ritmo rimbalzante un quadretto in cui riflessioni sulla disillusione e sulla quotidianità si intrecciano con ironia e incisiva efficacia.
Ma il meglio deve ancora venire ed è introdotto dalla malinconica fisarmonica che accompagna la prima parte di "Vivan Las Cadenas", brano di bellezza assoluta - anche del testo - in cui all'andamento riflessivo e lirico dei primi minuti segue una irresistibile costruzione sonora che si scioglie in quell'urlo "in rewind" che sembra una nuvola incantevole sospesa sopra le nostre angosce.
Quello che colpisce in questo lavoro dei Maisie è l'equilibrio tra le componenti messe in gioco: le parole che non rinunciano alla consueta vena corrosiva, ma che sanno giungere al cuore con efficacia pop, la splendida alternanza delle voci di Cinzia e Carmen, quasi a sottolineare le due facce di una medaglia, la ripresa di alcuni "luoghi" della canzone italiana, spesso dimenticati.
Esemplare in questo senso è "L'inverno precoce", sostenuta dall'ottimo drumming di Vincenzo Bardaro, fantastico [dis]incanto sentimentale che entra nelle orecchie e non ci esce più - se le radio avessero un briciolo di gusto e coraggio, la sentireste cantare in ogni angolo di strada!
Il trittico centrale del disco è una sorta di continua variazione "mantra" sull'incalzare di anelli armonici: "Maria De Filippi" è poi un incubo narcotico dall'incedere dolce e ossessivo, che si srotola in una nenia giapponese, "Sistemo l'America e torno" si accende di brevi lampi distorti e in cui il disagio sembra soffiato via dalla disillusione"? "Uma.no" è lastricata di pop elettrico anni Ottanta.
La tensione esplode nei coriandoli dance di "Finchè la borsa va lasciala andare", in cui sembra quasi che Nada flirti con Alberto Camerini e nel "Battisti indie- rock" di "Sottosopra", splendidamente cantata da Bugo insieme alla La Fauci.
Si vola verso l'ultima parte del disco con "Allargando le braccia" e i frammenti di suoni, oggetti e strumenti giocattolo che si sbriciolano dentro "Una canzone riciclata", a suggellare in modo poco rassicurante questo splendido viaggio attraverso le continue contraddizioni emozionali di chi osa porsi qualche domanda sulla quotidianità.
Mai negli ultimi anni lo spazio ritagliato dai sentimenti e dall'amarezza, dalla voglia di giocare e da quella di erigere una barriera, dall'incontro tra l'alto e il basso delle possibilità espressive, erano stati resi con una tale efficacia e freschezza musicale, abbracciando con un solo gesto tutte le nostre illusioni. Se per coccolarle o strangolarle definitivamente, beh... questo potrebbe non essere sicuro! Splendido! (4,5/5)
Enrico Bettinello - Allaboutjazz
Nei loro rimandi e nella loro (evviva) piena italianità, i Maisie sono un oggetto misterioso. E proprio per questo, intriganti e meritevoli. Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, già responsabili della iperattiva Snowdonia, mettono in scena un album dove il pop italiano, anche radiofonico, anche anni settanta, rivive in atmosfere buie (dark anni ottanta, vagamente lugubri), folk est europee, arabe e timidamente elettroniche. Un bel casino, come si suol dire. Che non si traduce però in rumore, ma nel piccolo miracolo di istantanee melodiche sorrette da testi (ottimi) sempre dolcemente "arresi". Tipo il "quel che mi disturba è vedere che ti commuovi con Bob Marley, sognando una Harley nel deserto" di Sistemo l'america e torno e "magici sabato pomeriggio, mai vissuti, tipi in giro con le scarpe nuove e le vuoi anche tu" di Finché la borsa va lasciala andare. Citazione di merito anche per Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi) con la sua coda di lucertola pop giapponese. Intorno a Cinzia e Alberto anche Paolo Messere (Blessed Child Opera), Carmen D'Onofrio (Argine), Stefania Pedretti (Allun) e Bugo. Andate con loro, dovete andare con loro.
News Spettacolo
Vi eravate mai accorti che nella canzone scritta da Toto Cotugno e che ha portato al successo Luis Miguel, Noi ragazzi di oggi, c'era del Demoniaco? Be', i Maisie ne riportano alla luce quell'aspetto cantando in modo minaccioso: "Siamo il fuoco sotto la cenere, devi venire con noi". E poi, nel nuovo disco del gruppo fondato dai messinesi Cinzia e Alberto, c'è il rock'n'roll bislacco con un cantato alla Nilla Pizzi (inverno precoce), c'è Cristina D'avena che canta Alberto Camerini (finchè la borsa va lasciala andare) e Bugo (quello vero, però) che scrive e canta una ballata, Sottosopra. I testi, poi, riescono ad andare dalla composizione intrisa di vera poesia, al delirio puro e malato. Come i titoli. Uno su tutti: Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi). (3,5/5)
C.P. - Rolling Stone
La poesia e l’intensa ispirazione, che si intersecano con riflessioni brillanti ed ironiche dal sapore amaro. Sguardi disinibiti e disincantati, pensieri arguti e raffinatamente impegnati che compiono mirabolanti giri su se stessi. Melodie intense, a tratti ipnotizzanti, complicate, distorte, avvolte ed armonizzate dalla magia dei canti popolari. Con un approccio meno underground del solito, i Maisie (per Snowdonia e Seahorse), ci introducono, con subliminali inviti, al loro "Morte a 33 giri". Con importanti collaborazioni e novità, tra le quali l’inserimento della splendida voce di Carmen D’Onofrio, (di grande impatto nei brani di più forte emotività), Cinzia La Fauci & Co, hanno portato il progetto Maisie ad acquisire una dose ancora maggiore di consapevolezza e profondità. Morte a 33 giri è un album che odora di vinile. Basta soffermare l’orecchio sui curati arrangiamenti e infilare la mente nelle illuminanti parole per capirne lo spessore. Vivan las cadenas! così apparentemente delicata mostra nel finale i suoi toni forti. Toni che si smorzano sulla leggiadra l’Inverno precoce e diventano ironici nelle "scarpe nuove" del brano Finchè la borsa va lasciala andare. Non lasciano scampo le note intense di Sottosopra. I Maisie moderni poeti, romantici e feroci, testimoni dissacranti del nostro tempo hanno inciso un bell’album che è anche un trattato sulla vita, dentro il quale la vita stessa e la sua inevitabile conclusione corrono sul piatto di un giradischi e la puntina sembra essere sempre lì, sul spunto di spezzarsi.
Manuela Contino - Beautiful Freaks
Quinto disco per la band italiana, una delle più originali del panorama nostrano.
“Morte a 33 giri” è un caleidoscopio di generi esplorati (pop, indie, elettronica, synth-pop, shoegaze, new wave ecc), secondo un'ottica domestica e attraverso un arsenale copioso di strumenti. Colpisce anche l'estrema freschezza melodica, che permette alle canzoni di penetrare facilmente nella testa.
E' un disco, credo, senza precedenti in Italia. (7,5)
Unknownpleasure
Testi bellissimi, semplici ma profondi. Romanticismo e poesia diretta. Meriterebbero di far soldi, altroché. E in "sottosopra" canta anche Bugo, se per caso a qualcuno dovesse interessare. E l'Inverno precoce e Morte a 33 giri sono bellissime. Dai Velvet Underground a Heater Parisi e tutto quello che ci sta in mezzo, ma anche prima e dopo.
Matteo Mercurio - Iomercu
“Morte a 33 giri” è il disco italiano del 2005, perché è italiano, fatto di canzoni interamente italiane, nell'approccio intendo. I Maise ne sono gli autori. Sensibilità che non è finta, ma in caduta libera. Svago che non è fuga, ma coscienza che non va. Pura preghiera la constatazione della desolazione. Tenere lontano dalla portata degli intellettuali e pseudo-sfigati. Altamente consigliato a tutti gli altri.
Occhio - Writeup
Non è un caso che il primo disco cantato in italiano dai Maisie coincida con una costante e pluridirezionale ricerca della melodia. Una melodia, si badi bene, non esente da stonature e felici forzature, se è vero che essa rappresenta il comune denominatore di un disco dalle sonorità e dai punti di vista più differenti. Un disco, cioè, che pare essere nato come riflesso del panorama musicale attuale: la “morte a 33 giri”, appunto, secondo una felicissima intuizione dell'annullamento del significato in presenza di un fluire di significanti. Non è però l'assenza di comunicazione il nucleo della poetica dell'album: all'opposto, restituire il senso laddove, nel fluire ininterrotto dei significanti, questo sembra essere andato perduto. In che senso, allora, dance (Finchè la borsa va lasciala andare), elettronica (Uma.no?), pop all'italiana (L'inverno precoce), folk (Vivan las cadenas), per dire solo di alcuni umori che si respirano nell'album, non ci consegnano un'operazione semplicemente giocata sull'intertestualità? Credo che la risposta vada ricercata, senza nulla togliere al bellissimo tessuto strumentale, nell'operazione vocale effettuata da Cinzia La Fauci e Carmen D'Onofrio: operazione che consiste nell'infiltrarsi nelle strutture ritmiche e indirizzarle in una zona di confine melodico; raggiungendo cioè, in ogni singolo brano, il risultato di una poetica tutta all'insegna di una particolarissima oscillazione emotiva, sempre in bilico tra l'orecchiabile e lo stonato. Una melodia caleidoscopica, dunque, giocata tra alti e bassi sonori e da intendere come proiezione di un sentire emotivo altalenante. Se si pensa che questa operazione all'insegna della variazione melodica rappresenta il collante di strutture sonore altrettanto varie, non si può non prendere atto di un'operazione, letta in quest'ottica, del tutto straniante. Lo si dice, è evidente, in senso del tutto positivo: è proprio questo effetto di straniamento, in definitiva, il punto di vista privilegiato dal quale osservare “Morte a 33 giri”.
Fabrizio Alias - Paesi Tuoi
Rullo di tamburi e squilli di tromba: i Maisie sono tornati e cantano in italiano! Per l'occasione il duo composto da Cinzia La Fauci e Alberto Scotti si allarga con due nuovi ingressi: il polistrumentista Paolo Messere, titolare dei Blessed Child Opera, che co-produce il disco assieme a Snowdonia, e la passionale cantante Carmen D'Onofrio.
Il gruppo si getta nell' art pop dopo un percorso composto da quattro album in inglese, frullati di influenze disparate tanto eccentriche quanto avanguardistiche, dal sapore sia low fi , sia zappiano. La scelta dei testi in italiano non esaurisce la mutazione peninsulare dei Maisie che abbracciano e rileggono tutta la tradizione della canzone popolare italiana, dagli anni sessanta fino ai giorni nostri, basando la scrittura su chitarra e voce e arricchendola poi con sapori anni '80, psichedelica evocativa, tastierine televisive e influenze provenienti dall'Europa balcanica.
Album da anno zero della musica, che rielabora e spazza via, aprendo la strada alla ricostruzione, l'insopportabile livello toccato dall'indie nostrano, ciondolandosi tra commozione malinconica e leggera ironia di una generazione dispersa nelle macerie del sogno, pare un astuccio da alunno elementare dove la mano va a pescare pastelli smangiucchiati di ogni colore. L'intera estetica del quartetto e il netto rinnovamento vengono espressi nel pezzo d'apertura Morte a 33 giri, dove beat futuristici accompagnano voci filtrate che, come in tutti gli altri pezzi, esprimono la propria quotidianità fatta di banalità e sensazioni visionarie, attraverso parole così semplici da essere spiazzanti, ma spesso dall'animo disarmato, (Le donne, in gara per il primato mondiale di sofferenza, ci appaiono come dolci fantasmi della coerenza. Fate arrabbiate in un videogame). Quindi si passa alla lunga Vivan Las Casadenas, musica spaziale dalle due anime, dolce e dura, che crea un universo estremamente personale, dove perdersi diventa un piacere. Si prosegue con l'inno radiofonico da una Caterina Caselli allucinata, che più pop non si può: è L'inverno precoce, ritornello appiccicoso da sogno mai vissuto e malinconia post - maturità (E arriva la crisi, dopo la scuola, arriva la vita che ci ucciderà). Queste sono le canzoni che dovrebbero sentirsi alla radio, ma ne ho ben poca fiducia. Dopo la freschezza arriva - con i tre pezzi successivi, da ricordare il meraviglioso titolo Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi) - il cuore più oscuro dell'album tra leggere litanie e disagio esistenziale, antidoto contro i fessi intellettualoidi e le macerie della vita. D'improvviso tutto viene interrotto dai sintetizzatori disco pop di Finché la borsa va lasciala andare e quindi dalla splendida canzone d'amore Sottosopra duettata con un Bugo in forma smagliante. La summa della poetica del quartetto viene riassunta nella composizione finale Una canzone riciclata, non c'è necessità di commento, bastano le parole: S'è un deficit di realtà, me ne accorgo chiaramente da come cammina la gente, e una vicina con la borsa della spesa, ingombrante anche se non pesa… i muri non si abbattono a testate, e le zuppe riscaldate e le maglie rilevate e cento morti rimandate. L'esistenza chiusa in cella, una canzone riciclata, guarda lo schermo con attenzione, è un attentato moltiplicato. E non ci capisci niente e neanche ti lamenti, e non ci capisci niente e neanche ti lamenti. Abbiamo di fronte un gruppo eccellente di quelli che ancora costruiscono con il cuore contro la logica della velocità e dell'arroganza, dovrebbe essere un dovere culturale acquistare questo album anche se non proprio di facile reperibilità - a proposito sito di Snowdonia o distribuzione Audioglobe. Un appunto finale voglio farlo nei confronti dell'enorme coraggio - e non è un eufemismo- dell'etichetta messinese Snowdonia di cui sono titolari proprio i due Maisie fondatori, label che ha fatto della sperimentazione e della sovrapproduzione, in un mercato con scarsa domanda, il proprio cavallo di battaglia. La diseconomicità ha creato lavori stupefacenti nella stasi del panorama italiano come, solo per citarne alcuni: Fausto Balbo, Larsen Lombriki e Tottemo Godzilla Riders.
Massimo Lorenzin - Spigolature
“Noi ragazzi di oggi siamo il fuoco, siamo il fuoco sotto la cenere” (Maisie, Ragazzi di oggi)
Gli sguardi rivolti verso il basso, espressione di noia, di abbandono, questa è l'immagine ricorrente dei ragazzi di oggi: persi tra disillusione e una paradossale nostalgia di ciò che non hanno mai vissuto, esprimono in modo dilagante il modus vivendi dei giorni nostri. Questo disco è l'apologia di tutti questi aspetti. Emozioni afferrate al volo come foglie di autunno, note che si diffondono nell'aria leggera di una giornata di settembre, il mese triste, del ritorno ad una triste realtà. 'La morte a 33 giri' è tutto ciò che i giovani hanno perso: la voglia di cambiare il mondo, i sogni, l'ideologia, la genuinità del vero amore. Tutto viene sostituito dalla plastica, dalle dose emozionali che i media ci sottopongono, le facce commosse dei programmi di Maria de Filippi (Una vergine tra i morti viventi), la saliva delle bocche affamate di nuovi impulsi, zombie del tam tam mediatico, vittime della stessa realtà che cercano di capire. Una realtà che perde di umanità, passione, attimi collettivi oramai persi, dimenticati nel vortice di una informazione standardizzata, somministrata a pillole. 'Morte a 33 giri' è una diapositiva su ciò che stiamo vivendo, triste sovrapposizione tra passato e catastrofico futuro, nel mezzo di una generazione che ha dimenticato di cosa significhi essere una generazione. I Maisie confezionano tutto ciò con una spiccata propensione al sarcasmo e alla tragicommedia, unite ad un sound nuovo, fresco, che punta all'impatto e a un sorprendente easy-listening. Un discorso a parte merita "Sottosopra", canzone eseguita in collaborazione con Bugo (si proprio lui!), piccola gemma dal testo (scritto dal Bugatti, of course) e dall'arrangiamento talmente intenso da rendere il tutto onirico e travolgente. Finalmente un album che non guarda all'estero, ma punta ad una vera rielaborazione della musica italiana, partendo dal passato e cercando di scriverne il futuro. Era ora!..
Giovanni Continanza
Sarà perchè ho sempre avuto un debole per Luis Miguel ma io proprio questo disco me lo sento “ dentro ”. Canzoni stravaganti con testi deliranti, citazioni splendide del nostro universo mediatico passato e presente si intrecciano con basi elettroniche, violini, chitarre e strumenti magici, dando vita ad un progetto alquanto misterioso e affascinante, allegro e malinconico
Titoli splendidi poi, presentano le 12 canzoni che compongo questo album; due su tutti: Maria de Filippi (una vergine tra i morti) e Finchè la borsa va lasciata andare.
Un risultato sicuramente sopra le righe, ne consigliamo l'ascolto.
Enrico Guacci - Mt
I Maisie vivono a Messina, città nella quale, oltre ad essere attivi in qualità di musicisti, gestiscono anche una lodevolissima etichetta indipendente, la Snowdonia, che si occupa di produrre artisti con proposte musicali che si distinguono per originalità (verrebbe da dire bizzarria, scorgendo tra i gruppi della scuderia nomi quali Scarapocchio, Larsen Lombriki, Faccions, ed un disco intitolato “Lo Zecchino d'oro dell'underground”, bimbi che interpretano brani di gruppi, per l'appunto, "underground") e che incontrano non di rado il favore della critica specialistica.
E' il caso di questo ultimo loro lavoro, Morte a 33 giri, salutato da svariate riviste come opera di grandissima qualità.
È mia convinzione che l'album si avviti splendidamente attorno alla Dicotomia. Difatti:
1) È un concept coerente eppure profondamente schizofrenico.
Coerente nel discorso testuale, tutto imperniato sul tema del disagio degli autori verso il mondo attuale, disagio che pare aver origine nella presunta vacuità degli anni'80 e procedere sino agli odierni scenari televisivi ("Maria de Filippi, vergine tra i morti viventi", titola uno dei brani), però schizofrenico nella composizione strumentale, che si avvale di una copiosa effettistica, unita agli strumenti della tradizione pop ed all'uso reiterato di violini, per tracciare un percorso arabescato, curioso di lambire, senza perdere d'equilibrio, l'ampio spettro di opzioni comprese tra il pop sintetico e la suite apocalittica.
2) Le timbriche del cantato.
Gli illuminanti squarci surreali dei testi sono affidati a due voci femminili in contrappunto (Carmen D'Onofrio è la sensuale dark lady soprano, Cinzia La Fauci è la bambina impertinente), calibratissime nei tempi e nel gioco delle sovrapposizioni.
3) O Duran o Spandau (e tertium non datur).
Apre il disco una cover di "Ragazzi di oggi" del teen-idol sanremese Luis Miguel, cantata come in un cimitero la notte di Halloween, la fisarmonica di "Vivan la cadenas!" offre dieci minuti di toccanti istantanee sul presente, tra le quali spicca quella che raffigura la vanagloria dell'autoelogio (te ne accorgi sul balcone di cui ti vanti/che forse tre metri quadrati non sono poi tanti). "L'inverno precoce" è un Baustelliano racconto cine-pop di un amore solo immaginato, Sistemo l'america e torno è una cadenzata ninna-nanna con poca luce, in "Sottosopra" fa capolino Bugo, caos, malinconia, ed un volo sopra il mondo come unica possibilità di evaderne, guidati dall' assolo finale di un flauto.
Il brano "Morte a 33 giri" sintetizza uno dei motivi ispiratori del disco, grazie alle stridenti voci filtrate che emergono tra i beat ed i rumori programmati da Alberto Scotti e le preziose rifiniture chitarristiche di Paolo Messere, a chiosare il discorso con l'insistito aut aut che recita O Duran o Spandau.
Gli elementi eterogenei presenti nel disco risultano ben difficili da bollire insieme in pentola, ma se la zuppa è cucinata dai Maisie c'è da leccarsi il baffo.
Voto: 9
Diario di DrFloyd76
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