Uno stile hippie psichedelico dei nostri giorni e del nostro crepuscolo si potrebbe definire "URI" , esordio solista di Haxel Garbini. Primo disco che non prescinde da una consolidata esperienza da parte del musicista ligure che ha comunque partecipato a vari progetti in campo sperimentale e suonato in molteplici compilation. L'intento dichiarato è quello di: «mettere in musica alcuni dei miei primi ricordi» . L'intento che invece emerge sembra essere più ricco di sfumature concettuali che hanno a che vedere con la percezione, con l'introspezione, con la complessità del kairos. I propositi non possono quindi che essere ambiziosi, così come i percorsi intrapresi e tutte le contraddizioni implicite che ne derivano. Tradurre con apparente linearità e semplicità qualcosa di niente affatto semplice, affidare alla natura e al naturale l'intraducibile linguaggio dell'interiore. Non stupisce quindi l'utilizzo arguto di alcuni elementi chiave e sinestetici come l'acqua e lo stetoscopio che ben rendono l'idea di propagazione, riverbero, vibrazione, amplificazione. Lago peloso moltiplica ossessivamente una frequenza rigida, sporca e metallica. Anche Morto in un fienile reitera e ripete, con variazioni infinitesimali, una serie di battiti e scansioni a cui si sovrappongono fields recording impastati e confusi di voci e rumori. Quello che suggeriscono nella loro interezza le dodici tracce in oggetto sono dodici diversi tentativi di stabilire un contatto esterno che si compie con grande difficoltà e quasi attraverso una intercapedine, un filtro che in qualche modo ne ostacola la fluidità. Un sacco placentare e uno spessore amniotico denso e opaco li isola dal resto del mondo tant'è che si ha la percezione di segnali criptici indecifrabili. Un linguaggio astratto che non vuole andare alla ricerca di nuove e omnicomprensive modalità espressive (come accadde per esempio nei casi della Third Ear Band o in tutti i casi più recenti in cui rientra in ballo la musica modale). Qui si ha la sensazione forte di chiusura, di sperimentazione pura, di ricerca sonora ostinata e perversa per certi versi. Un viaggio mentale soggettivo e impermeabile. Non si vuole risalire alle origini della civiltà ma all'immanenza. Il minimalismo non è ipnotico ma profondamente disturbante, la commistione strumentale, tranne in alcune sporadiche eccezioni in cui gli strumenti a corde classici creano una sorta di torpore pastorale, incide solchi dolorosi e invasivi (Saponificazione). La sensazione predominante è un procedere a tentoni che si rivela amorfo e abbozzato ma anche fragilmente poetico. La dicotomia Emergere/Fluttuare rende molto bene l'idea, contrapponendo battiti scomposti e sincopati a una registrazione di canto di uccelli all'alba. L'antitesi dell'esternazione e del musicale (Dobbiamo scappare , Fa più male del bere) o un'anamnesi heideggeriana che tira in ballo la pre-comprensione, la ricerca di una unità percettiva primordiale depurata e scevra da ogni preconcetto, come sembrano voler suggerire pezzi come Estate 1984 (ripresa), Uri domati e Sempre lo stesso ragno. (7/10) |