Torna Claudio Milano, artista eclettico che da queste parti conoscete già. Ora è la volta del nuovo “UKIYOE (Mondi Fluttuanti)”, che mette sul piatto meno pezzi, tutti piuttosto contenuti nel minutaggio a parte l'ultimo (diviso in tre movimenti), che già a un primo ascolto si fanno notare per una certa impenetrabilità estetica e per l'estrema cura dei suoni. Notevole pure la perizia tecnica dei musicisti coinvolti (Vittorio Nistri dei Deadburger, Dalila Kayros, Eugenio Sanna, tra i tanti…), e la qualità intrinseca delle atmosfere ricreate (vedi la bellezza riflessa di “Fi(j)ùru D'Acqua”). Come per le precedenti uscite, va sottolineata una cosa importante: ci troviamo di fronte a un talento solitario come Milano, caparbio performer/compositore che gioca con gli stili in maniera coraggiosa, come nell'ironica e cantilenante, soprattutto vocalmente parlando, “Ohi Mà (Nel Mare Che Hai Dentro)”, che pare essere autobiografica. Quando poi tutto gira particolarmente per il verso giusto (e non deve essere semplice mettere in pratica una “macchina-musica” tanto complessa) assistiamo a una prova diremmo magistrale, proprio quella che vede nella traccia di chiusura, “Ma(r)le” una vera e propria summa stilistica del musicista pugliese, divisa tra voci e strumenti che si liberano e si rincorrono felici, racchiusi in una lunga e composita suite (diciannove minuti abbondanti) che è come un mare felicemente in burrasca. Ci potete trovare deformati echi folk, voci ebbre, l'accavallarsi di trame chitarristiche febbrili e di archi impazziti che testimoniano del viaggio da eterno “non riconciliato” che Milano ha intrapreso da tempo. Il suo è un mondo imperfetto, ricolmo di suggestioni e di continui “esami” che mettono a dura prova la sua stessa esistenza, espressione “terminale” che ricorda un limbo stordente e spaesato. Accompagnamento speculare al disco il dvd “Quickworks & Deadworks”, del sodale ed eclettico Francesco Paolo Paladino, ispiratore dell'intero progetto e alter ego per immagini (e musicista come A.T.R.O.X. e The Doubling Riders). Il mediometraggio, composto da scene a camera fissa, con fotografia il più naturale possibile, e suono in parte catturato in presa diretta (musicato da Milano stesso), è strenua prova di un “viaggio interiore” attraverso i corpi (e le stranite espressioni dei quattro protagonisti ivi presenti) che vivono una sempre più lontana riconciliazione col mondo, che ovviamente coincide con la visione interiore di questi due particolari artisti. |