Musica surreale e visionaria che ben traduce la forza impattante dell’immagine quale evocatrice di suggestioni e stati d’animo per la psiche umana. Luigi Porto si carica dell’onore e dell’onere di dare voce ed interpretazione sonora ad uno dei registi più geniali e sottovalutati della nostra cinematografia: Romano Scavolini. Diretto, minimale, incisivo, imprevedibile, poetico, multi sfaccettato, inquieto. L’alone di mistero ed ermetismo che avvolge le opere assolutamente anticonvenzionali e underground di Scavolini, si infittisce in questi ultimi anni attraverso l’annuncio di un’opera filmica del 2005 articolata in tre volumi di circa due ore ciascuno e delle quali si è montata a tutt’oggi solo una parte. "L’apocalisse delle scimmie" è quindi un progetto del quale non si conosce né l’effettiva ultimazione né l’uscita. Il compositore e musicista Luigi Porto, avvalendosi della collaborazione di autorevoli ospiti e con il supporto delle etichette Snowdonia e la viennese Cineploit, scolpisce i suoni di questo mirabolante e intricato viaggio che cerca di dar voce alle divisioni dell’Io e alle pulsioni inconsce. Per forza di cose si presenta come opera frammentaria ed eterogenea, come flashback cinematico e ridondante di viaggi mentali di volta in volta aggrappati ad atmosfere e spazio temporalità differenti. Un collage delle oscurità, un'esplosione accecante di frattali, un'iperbole metalinguistica dei malesseri, dei tentativi di evasione, dell’incoerenza e della volubilità che compone la nostra essenza.

Avanguardia, esplorazione, sperimentazione, astrattismo, sentori arcaici e contemporaneità sparuta e smarrita sono le fonti ispirative da cui l’autore ha attinto. Soprattutto predomina un felice richiamo alla nostra scuola musicale più colta e autorevole che esalta la concettualità dell’indeterminazione, l’idea di una volontaria via di fuga soggettiva rimessa all’alea, all’interpretazione personale del fruitore. Bruno Maderna ne è stato il pioniere più emblematico, seguito in Italia da Aldo Clementi, Niccolò Castiglioni e Franco Evangelisti ancor prima dello stesso Egisto Macchi. Anche se è nettamente evidente che quest'opera riesce a forgiarsi di una propria peculiarità che si lascia le influenze dietro una cortina di impenetrabilità, riuscendo perfino ad assumere una autonomia perfettamente scomponibile dalle immagini a cui si è voluta associare per vivere e palpitare di vita propria. E' un amalgama denso che si carica d'atmosfera - a tratti repellente - così come di glaciale cripticità, facendo leva su inserzioni di archi spesso stridenti e graffianti, su un'orchestrazione che vuol rendere inconoscibile tutti i suoi tratti di classicità, nutrendosi di contorsionismi psichedelici e overdub disarticolati e spastici. Alla fine si arriva ad esporre un blocco concettuale assolutamente antitetico e assolutamente perfetto e coeso che chiede solo un giudizio estremo e totalizzante all'ascoltatore. Il rigetto o l'immedesimazione, l'estraneità o l'appartenenza.

Distaste fa appello alla grande esperienza di Porto nell'ambito delle sonorizzazioni, tesse un climax di tensione crescente attraverso controtempi, diluizioni e field recordings. Ma tutto è in realtà assai poco riduttivo in queste costruzioni contorte che si smontano e si stratificano mettendo in campo quasi un perverso gioco emozionale. Incredibile il lavoro del violoncellista James Waldo e i diversi apporti vocali nel tracciare gli intercalari tensivi. Le afasie, gli inserti percussivi e l'ausilio di un'elettronica cupa, spesso macabra (Ouverture, L'Ingorgo) sono dettagliati studi anatomici del suono e delle sue implicazioni neuronali. Limpida e di grande intensità drammaturgica la voce del soprano Carmen D'Onofrio (Nel parco (incl. Coda), Bogoroditse Djevo). Suggestione per i contrappunti di violoncello intrecciati a campionamenti in Casal Bruciato. Monodia Del Pusher si rifà invece ai minimalismi monocromatici di Ligeti e in Parte II è un dub tellurico che gioca sulla timbrica. Cecilia o la Danza Spinata si avvale della voce di Rudi Assuntino che reinterpreta un canto popolare di protesta politica. Schizofrenia di archi e fiati per il bellissimo Le Vespe. Ben contestualizzata anche l'oscura invettiva hip hop di Mr Dead in Distaste II. Ostilità e destrutturazione innalzano la magnificenza di un'opera monumentale, spiazzante e lacerante, assolutamente coinvolgente. (8/10)

Romina Baldoni