Accade poi che un artista come Andrea Tich, che nel 1978 si affacciò alla ribalta con la mitica Cramps e un album dal titolo “Masturbati” (con Claudio Rocchi alla produzione), arrivi ad un traguardo in cui essere eclatante e originalmente provocatorio passa in secondo piano. Già perché, in tutta la sua fase di quiescenza, questo artista curioso e poliedrico ha davvero attraversato tutti i backstage del fare musica; tra ricerca vivace di linguaggi alternativi, avanguardia e inventiva sdoganata da ogni convenzione, tra il mettersi alla prova e cimentarsi con sonorizzazioni televisive, spettacoli multimediali, colonne sonore, produzione e tanto altro. Oggi sembra proprio aver raggiunto una maturità e una consapevolezza che, pur mantenendosi lungo il filone della diversità e del non allineamento, perde di esuberanza e spavalderia per puntare ad un'inquietudine più raccolta e introspettiva. Le sue ‘strane canzoni' diventano abbozzi, stralci di quotidiano un po' naif. Gli arrangiamenti sono meno ridondanti e complicati ma non meno ricercati, meno attenti alle sfumature o a quelle piccole sbavature che invece ora esaltano intensità e lirismo. 

Un cambiamento  inaugurato con il rientro per l'etichetta dei corregionali di Snowdonia nel 2010 e l'album “Siamo Nati Vegetali” . La forza di questo doppio CD, "Una Cometa di Sangue", che racchiude materiale abbozzato e ritoccato nel corso di oltre trent'anni, è quella di sfoderare una musicalità morbida e equilibrata. Musicalità che valorizza tutti gli elementi armonici, riuscendo a regalare piacevolezza, pacatezza, abbandono sensoriale quasi zen. Tantissime sottigliezze negli arrangiamenti, una vasta gamma di variazioni studiate e calcolate ma che per tutta la durata del disco suonano familiari, mai forzate, mai fuori luogo, ma in eccesso, mai a detrimento dell'omogeneità di fondo. Testi onirici (Parallasse secondo me), filastrocche neo romantiche (Amore Sconfinato), a ripercorrere in un ideale viaggio a ritroso i grandi prodigi emozionali della vita. Non qualcosa di nostalgico ma un tributo lucido ed emozionale ai sentimenti e alla potenzialità delle piccole cose che fanno guardare avanti con la consapevolezza di saper capire e valorizzare l'essenziale. Si canta amore (Sono Solo i tuoi occhi), amicizia (Canzone per Enzo), desideri (La leggenda della voce solitaria), solitudini (Siamo soli più che mai), procedendo gradualmente per sfumature sempre diverse e sempre fluide. Come un'immersione in flashback di ricordi preziosi, custoditi nell'intimo del cuore. 

Servono tinte morbide e sbiadite di pastelli per evocarli, trilli di carillon e ali di farfalla, mentre tremuli e vibranti si incidono impalpabili tra le pieghe dell'anima. La musica è un sottofondo ma è anche il tremito interno di tutte le cose celebrate. Folk acustico ed elegiaco, soft beat di psichedelia evanescente, nebulose pop wave con screziature di elettronica. Passa un messaggio di normalità, uno scorcio di private stanze che trasmettono rassicurante accoglienza. Di grande effetto la coda del finale Vecchio Mondo che si riaggancia alla nenia crepuscolare di Mille Chiodi o le ritmiche vivaci di Star con te che con armonica e pianola diventa quasi una sorta di ballata sdrammatizzata e autoironica. L'eclettismo giocoso di Io tempo ti conosco . Ti porterò evoca invece la mistica orientaleggiante e la progressione elettrificata del Battiato dei primi anni '70. Il posto... (Dov'è andato Claudio Rocchi?), l'omaggio ad un amico che ha tutta la genialità e l'intensità nel suo sfumare e interrompersi subitaneo. La grande arditezza di questo album è quella di mantenere toni sommessi e con essi non scivolare via, ma incidersi sotto pelle; estraniarsi da ogni stigmatizzazione di genere per conciliarli tutti, celebrarli con una classe e un'eleganza sorprendenti. Travestito da informalità e leggerezza non lascia però nulla, ma proprio nulla, al caso o alla banalità. Vi sembra poco? (7,5/10)

Romina Baldoni