Non sempre il percorso di un artista è lineare e consequenziale. Non lo è sicuramente quello di Andrea Tich, visionario cantautore sperimentale affacciatosi sulle scene nel 1978 col dirompente esordio Masturbati, roba da fare invidia al Battiato più psichedelico e smanettone così come a tanti altri pionieri del periodo in bilico tra prog, cantautorato e le più spregiudicate sperimentazioni elettroniche. Poi la scomparsa dalle scene per oltre tre decadi e il ritorno, altrettanto improvviso, nel 2010 con Siamo nati vegetali licenziato per Snowdonia. Seguito, a quattro anni di distanza, dal nuovo doppio lp Una cometa di sangue, per la stessa label messinese-varesina. Ventiquattro tracce, buona parte delle quali concepite nel trentennio di apparente inattività, rimaneggiate e riarrangiate per l'occasione, per andare a comporre una sorta di concept esistenziale, una sequenza di visioni, sogni e prospettive che narrano le gesta del cantautore milanese di origini siciliane. Un'opera ambiziosa, monumentale e coraggiosa, eppure, nonostante le ottime intenzioni, qualcosa sembra non tornare.

Dopo svariati ascolti questa generosa mole di materiale distribuito tra i due dischi continua a mantenere un che di indistinto, inafferrabile. Tutto scorre via liscio e pulito, ben arrangiato, ben suonato, con la voce calda di Tich che sembra essersi nutrita a pane e David Sylvian, a tratti facilmente accostabile a quella di Marco Morgan Castoldi o di Garbo, gradevole, avvolgente e ben supportata da sonorità minimali. Suona come un Battiato moderno ma meno sinfonico e più monocromatico o come il Maroccolo degli ultimi preziosi lavori solisti, ma meno intenso e coinvolgente. Un lavoro che scorre via un po' così, senza riuscire a impressionare particolarmente, che manca di quella dose di attrattiva, quel particolare slancio, e che solo a tratti riesce colpire col suo raccolto intimismo (L'aria che ti attraversa, La leggenda della voce solitaria). Un guizzo di particolare lirismo giunge solo alla fine del primo lp con le due conclusive Sento nel cuore la pioggia e Un senso di realtà, due ballate notturne e delicate che non fanno rimpiangere i lavori più ispirati di Andrea Chimenti. Lo stesso discorso vale purtroppo anche per la seconda parte dell'opera, che sembra partire bene con l'accennata vena di psichedelia elettroacustica della titletrack, ma si annacqua subito nel proseguire nei soliti toni fin troppo tenui che alla lunga finiscono col produrre qualche sbadiglio. Eccezion fatta per l'etereo divagare orientaleggiante di Chiodi fissi, le espansioni ambient, tra Battiato e Camisasca, di Ti porterò, le sospensioni noir in Strade di città, tra i migliori episodi dell'opera, il beat ipnotico di Ma perché incontrarti e la chiusa atmosferica affidata alla alla new wave di Io tempo ti conosco.

Forse la vera unica pecca di questo lavoro risiede nella sua eccessiva dilatazione, snellire la scaletta ad un unico lp avrebbe di certo giovato alla sua fruibilità e a una migliore resa qualitativa. Provaci ancora Tich. (6/10)

Marco Salanitri