Nati nel 2002, attivi più o meno fino al 2006, silenti fino al 2012, iperattivi fin qui: e uno si può aspettare un disco regolare? Ecco perché Galera, dei Fargas , ben nascosti dietro la barba di Luca Spaggiari, non è un disco regolare. Il disco è il secondo di una trilogia iniziata con “In balia di un Dio principiante”. Ed è un disco d'autore, qualunque cosa questo voglia dire, dove il testo tende a prevalere su sonorità eleganti, ricercate, ma non esageratamente invadenti: un pianoforte, una chitarra, una batteria e una voce, per lo più. Il cantato qui e là può ricordare qualcosa di Rino Gaetano (del resto si sa: quando vuoi fare un complimento a qualcuno che canta in italiano, lo paragoni a Rino Gaetano, è inevitabile) ma con più rabbia che ironia . Di un disco che si apre con Chiusura si capisce che è costruito in modo strano. E Galera, che segue, non fa che confermare l'impressione: in sostanza siamo di fronte all'antica tecnica dell'elencazione, di molte delle cause, vere o allucinatorie, che possono portarti dietro le sbarre, anche metaforiche, su onde sonore morbide e malinconiche. Si passa a Pubblica nudità che pure sfrutta la tecnica dell'elenco sulle prime, mettendo in fila una serie di immagini urbane a raccontare una storia, con la voce che gratta e la chitarra elettrica, che nella versione demo è un'armonica a bocca, a sottolineare ascendenze folk-rock. Stelle rotte si muove su percorsi un po' meno diretti, aggancia qualche frammento psichedelico, nascosto fra i suoi ritmi morbidi, e inaugura una serie di improvvise canzoni molto brevi, come se ci si fosse resi conto all'improvviso che il tempo è quello che è, e che bisogna fare in fretta. L'atteggiamento di Tu qui è simil-punk, con la chitarra che dardeggia su un riff sguaiato e aggressivo. Mille nodi invece frena di colpo e si appoggia su una nuvola molto soffice, costruendo un duetto di voci su una trama minimal. E giustamente che cosa si può mettere quasi a fine disco, se non un assolo di sax dal titolo Apertura? Mentre io entravo nelle tue ossa chiude il discorso tornando ad allungarsi sui 6 minuti e rotti, con una progressione di chitarra molto consistente. Ben scritto e ben suonato, il disco brilla per l'originalità dei testi e si appoggia su una struttura musicale molto consistente e capace di variare registro con assoluta naturalezza . Che si fa, ci si iscrive al club di quelli che vedono un grande rinascimento del cantautorato italiano, anche sulla scorta di dischi come “Galera”? Mah, forse sì, forse no, forse chi se ne frega . Ci sono dischi buoni e più che buoni, come questo, da ascoltare, e va molto bene così. |