Molto più di una promessa, e fuori dalle più facili convenzioni: “Galera” dei Fargas è in uscita oggi, e giunge in un momento storico in cui il mercato discografico italiano propone pochissime luci. Lo sguardo sulla contemporaneità, le confessioni fatte “ad un dio ingrato”, i toni realistici e disillusi dei testi che lo compongono sorprendono anche per questo.
Non si rimane in attesa senza nemmeno pensare. Gli stimoli che “Galera” concede sono molteplici, ma guardano essenzialmente in due direzioni: il rapporto dell'uomo con la società che lo circonda e quello con se stesso; nel mezzo, il rifiuto del pensiero dominante e le storie ritratte in una civiltà allo sbando, con sincera sensibilità verso temi importantissimi come l'immigrazione.

La piacevolezza di un rock senza compromessi né la necessità di particolari etichette. Il suoni sono maturi al pari dei testi. Bassissima la dose di effetti e distorsioni: si può essere incisivi anche (e soprattutto così). I Fargas faranno a lungo parlare, anche perché hanno trovato il modo giusto per veicolare al meglio sentimenti ed emozioni, senza inutili smancerie.

Il progetto di Luca Spaggiari e Umberto Grossi nasce nel 2002 con “La grande onda”: a loro si affiancheranno inizialmente Davide Canalini e Claudio Luppi. Nello 2006 i Fargas vengono premiati al Meeting delle etichette indipendenti come migliori autori. L'esperienza prosegue dal 2012 insieme a Matteo Bertaggia (che sostituirà alle chitarre Luppi) nel solco della ricerca di una visione spuria , che non tarda ad arrivare. Nello stesso anno arriva “In balia di un dio principiante” (Snowdonia), che ha già riscosso successo di pubblico e critica e che rappresenta la prima tappa di una trilogia concettuale che prosegue da oggi proprio con “Galera”.
Non è bello cercare “parentele” musicali, ma se dovessimo accostare a qualche gruppo italiano famoso la band potremmo tranquillamente scomodare i primi Litfiba, i Baustelle per il vago esistenzialismo nei testi, perfino Rino Gaetano per il modo di utilizzare la voce solista ed i suoi colori.

Marco Melillo