l nome è Unsolved Problems Of Noise , ovvero: “Problemi irrisolti di rumore”. Problemi, per chi il rumore è un problema. In caso contrario, si rischia di rimanere (estremamente) affascinati da questo L'ombra delle formiche .
Un disco che si apre con una lunga suite in due pezzi dal titolo formicazione. La prima parte, di quattro minuti, si muove tra rumorismo e post-rock, dove pochi dettagli fanno da tappeto ai campionamenti che, una volta finiti, lasceranno spazio ad uno strumentale dai tratti (e dall'incedere, soprattutto) vagamente doom; la seconda parte, invece, sarà la pura e semplice degenerazione degli elementi visti in apertura. Qui si mischierà no-wave e noise-rock, nelle loro forme migliori. Pesantezze su pesantezze, stop'n'go a catena, una natura jazzcore che vorrebbe saltare fuori, ma – almeno in questo pezzo – si trattiene, liberandosi solo nell'episodio successivo. Le pecore elettriche sognano gli androidi? è la prima esplosione puramente jazzcore: il paragone con gli Zu è fin troppo facile, ma ci sta.
Una formica da marciapiede è uno stacco psichedelico/rumoroso e pienamente ambient, che darà un pò di respiro (come farà pure born to be an hive ) tra una scossa distorta e l'altra. Capiterà anche tra la prima e la seconda parte di dromofobia, dove un minuto e mezzo di feedback e rumorismi spezzerà i movimenti della prima parte, che sembrano math, passano per il funk e scivolano in un casino della madonna, che in questo album non mancherà mai e quella sorta di space-rock appesantito, psichedelico e distorto che sarà la seconda parte.
Gli ultimi tre momenti meritano i complimenti, oltre che per l'essere suonati in maniera perfetta, anche per i titoli: l'ultimo grido in fatto di silenzio è la colonna sonora jazzcore di un film noir, dove l'ambientazione è devastata dai fulmini di una notte di pioggia pesante; il diavolo A4 è uno schizzo su carta dove si ritrarranno insieme i Rosolina Mar e i Bastro; mentre la finale all jazz hera è una raccolta di terrorismi ancora jazzcore (ogni riferimento è puramente casuale) con incedere dannatamente math, tra schizofrenia a palate, cambi d'intensità e di velocità (e pure – addirittura – di genere). Un gran bel finale, di un'opera davvero meravigliosa iniziata quaranta minuti prima.
Un disco che non può (e non deve) mancare se vi ritenete appassionati di jazzcore.
|