Dopo la volta di Andrea Tich è ora il turno di Stefano Testa d'essere riscoperto dall'etichetta Snowdonia e riproposto a un pubblico attento, dopo tanti anni di oblio discografico e di relativa lontananza da ogni luce della ribalta. Di Testa (classe 1949, romano ma quasi sempre vissuto a Porretta Terme) si ricorda un unico disco, Una vita, una balena bianca e altre cose (pubblicato dalla Disco Più nel 1977), un lavoro non distante dalle originali orchestrazioni dal coevo L'Eliogabalo (uscito per la It) del cantautore/attore siciliano Emilio Locurcio.
Quel suo unico disco passò all'epoca inosservato e cadde presto nell'oblio, divenendo con gli anni un oggetto da collezione. Il silenzio artistico fu brevemente interrotto nel 1989, quando uscì Boogaboo, disco registrato in collaborazione con il clarinettista jazz Tony Scott, che quasi nessuno pare aver ascoltato. Ci voleva quindi l'interesse di Alberto Scotti e Cinzia La Fauci per riportare all'attenzione Stefano Testa e a proporgli di incidere un nuovo album, a trentacinque anni di distanza dal primo.
Di questo cantautore si apprezzano maggiormente le doti di modestia e di riservatezza. Sembra che incida dischi soprattutto per se stesso e per pochi amici, più che per cercare il plauso delle folle e degli estranei. Di questi tempi, non sono certo qualità da poco.
La nota dolente, però, viene fuori dall'insieme della musica prodotta in questo nuovo album. Non tutto funziona a dovere, e spesso si ha una certa sensazione di tedio. La musica, sempre arrangiata con grande mestiere e gusto, non riesce tuttavia a scavare in profondità dell'animo e a essere emotivamente coinvolgente. I brani migliori, guarda caso, sono proprio quelli che guardano vagamente al passato dell'artista, come Trecento gradini, La ballata dell'angelo svogliato, Una canzone banale e il pop obliquo della conclusiva Camicie azzurre che, grazie ad arrangiamenti moderni, non risultano proposte datate.
L'iniziale Domani è festa è senz'altro il vertice del disco, per via delle sapienti orchestrazioni alla Randy Newman. Non male neppure Argo soltanto, anch'essa arrangiata con molto gusto (non mancano persino dei versi di gabbiani nella parte finale), mentre più marginali risultano essere gli accenni di musica tzigana ("Niente") e mariachi ("Magioel"), i cori africani appena accennati ("Musica") e la ballata "brasileira" ("Metamorfosi"). Si potevano evitare, invece, gli episodi di laid-back pop (ovvero, pop da sottofondo) come "Io con te" (bruttina davvero) e le sonorità sintetiche di "Nel vostro quartiere" che mostrano in realtà un artista un poco a corto di idee veramente innovative, e che pare non sappia più far rivivere il proprio passato.
Se Testa o la Snowdonia avessero pensato di pubblicare solo un Ep, o un mini-Lp, al posto di un intero album il risultato finale sarebbe stato migliore. Esattamente come accadde con Tich nel suo "Siamo nati vegetali" (Snowdonia, 2010), la lunghezza del disco è sproporzionata alla qualità artistica complessiva.
Quattordici brani sono qua francamente troppi: se il lavoro ne contenesse la metà (e se fossero stati selezionati gli episodi meglio riusciti) sarebbe stato discreto.
Si apprezzano comunque ancora i testi di questo cantautore, sempre molto personali. Davvero fantasiosa è la grafica del digipack che racchiude il disco - un patchwork che unisce il "Libretto Rosso" di Mao alle effigi di Lenin e Marx con i quadri religiosi del Beato Angelico. (5,5/10)
Leonardo Di Maio
|