Colui che si cela dietro il moniker Magic Crashed è un bel personaggino. Interessante, da morire, lui e il suo Perchè io lo sapevo , stracolmo di idee e pieno fino all'ultimo secondo: Diciassette tracce per settantaquattro minuti di durata, e ho detto tutto. Un disco che in diciassette fermate ci mostra tutte le facce, originali e diverse, di un'orchestra formata da un solo elemento.
Un lavoro che può, senza problemi, saltare dall'happy-pop di Dan Deacon al synth-pop di certe sigle dei cartoni animati degli anni 80: e tutto questo in un solo pezzo, l'iniziale spazio contorto . Finire, e saltare altrove: scivolare in divertimenti punk per inizi d'alfabeto recitati a squarciagola. Ahhhhhhhhh!!!, centosettantuno secondi, schizzati e non-sense, con sprazzi di synth che ti faranno scuotere la testa fino, quasi, ad impazzire.
Il settimo sigillo, dopo un inizio che ricorda i Propellerheads (quando omaggiano le colonne sonore di 007), scivola nell'indietronica pseudorchestrale di Patrick Wolf , portata in Italia un pò da Babalot e un pò dai Soerba. Un Patrick Wolf che sconfina anche nella successiva waltzer con mortaretti, uno strumentale affascinante di soli due minuti: tra archi, piani, handclapping immaginari, voli di chitarre flangerate ed esplosioni di fuochi d'artificio.
Che poi a spezzare, ogni tanto c'è un pezzo di otto minuti: go machines go è un brano nerdcore impazzito, dove il nostro si accompagna a voci computerizzate, ad ascoltare un disco dei Nirvana in una discarica di personal computers, tra ram vecchie, hard disk fusi e chitarre distorte. Sarò pazzo io, ma c'ho sentito – addirittura – Kurt Cobain per un momento. È un pezzo stupendo, dall'alto della sua pazzia.
Spaccalegna frena bruscamente tutto ciò che la one-man band ha costruito finora, per percorrere strade folk-pop da fantabosco, un pò Camillas, un pò Musica per Bambini, un pò canzone d'amore dedicata ad un'accetta.
In La maga c'è di nuovo mister Wolf. Un Patrick Wolf che si aggira per gli asili alla ricerca di bambini da usare in un featuring e a cui raccontare fiabe, poi, nella successiva piccolo scoiattolo volante .
Cunts 04 è il secondo episodio da otto minuti: un pezzo Dance con tanto di iniziale maiuscola. Tastiere impazzite, raid psichedelici… un viaggio nella mente di un pazzo, tra trip lunghissimi nei quali si perde anche la voce. Un pezzo che va d'accordo sia con Boxeur The Coeur che con Tanzen delle Pistache.
E, se quando inizia Not in my dreams vi viene da chiedervi “Che cazzo ci fa un pezzo del genere su questo disco?”, tranquilli, me lo sono chiesto anche io. Insomma: chitarra pesante, batteria che pesta fortissimo, voce che urla e canta in maniera sguaiatissima. Dannatamente e intelligentemente fuori luogo. Un Vero E Proprio pezzo noise-rock che distrugge – o quantomeno stravolge – tutto ciò che è stato fatto finora: è come un mix tra Ozzy Osbourne (per la voce) e i Faith No More (per i suoni di chitarra e basso).
E poi, ancora, fronte della visione , l'ennesimo cambio di direzione: un lento omaggio al parente lontano Franco Battiato aspettando che sia pronto il thè. Con un impazzimento finale che evoca quasi le “gioie” della teina. Una pausa “bassa” prima di Aliraza: un giro di basso che ricorda (da molto lontano) Around The World dei Daft Punk e un beat di batteria pseudo-Discolabirinto (Subsonica / Bluvertigo), tastiere/disturbi ad 8-bit e la voce di un indiano(/pakistano?). Particolare? Decisamente, ma a questo punto non c'è proprio da dirlo più.
Coscienza di flusso è l'ennesimo pezzo breve, dove i disturbi noise-psichedelici si assestano su binari pianistici a fare da intro a barracatudes, tra il Manuel Bongiorni più lineare e il Babalot più new wave, che impazziscono insieme in una vacanza toy-punk.
Factorian è il terzo ed ultimo episodio da otto minuti: una sorta di swing-elettronico, come un Fred Buscaglione che passa le giornate in sala giochi, o a comporre musica al pc. Un pezzo che non si può descrivere, ma solo apprezzare con l'ascolto, più e più volte.
Consapevolezza enteogenica : stai facendo un incubo e una miriade di sveglie impazzite, dissonanti da morire, cercano di svegliarti. Ma non ci riescono, anzi, diventano solo parte integrante della colonna sonora “angosciante” del tuo incubo. Ed è “da incubo” anche l'episodio finale: krackam, industrial scuro e martellante, ripetitivo e pesante, tra mille rumori ed elettroniche deviate.
Ok, ho parlato troppo. Ma è davvero impossibile parlare di un album del genere, fatto in maniera eccellente, usando poche parole. Fate una cosa, ascoltatelo da bandcamp, anche più di una volta, e se vi piace compratelo da Snowdonia . È un acquisto consigliatissimo. |