Un disco fatto di caldo e freddo, pioggia e neve, come se la pelle, nostro ultimo confine dal mondo, avesse selezionato schematismi per filtrare la realtà; musica che addolora, esalta l'istinto di sopravvivenza (“Rogo a Parigi”). La poesia che colora le pareti è narrazione di sentimenti, focalizzazione e straniamento che vela fatti e situazioni, come il delicato incontro di “Dolce Amica” dove la morte cala un sipario su un sentimento che continua il suo tenero loop .

la distanza di un terzo piano e una finestra segnano un abbandono (“La gente si affolla”, il refrain più tagliente) la fuga dall'esistente e dal vissuto si rivela necessaria, perché la realtà e assediata da un'oscura minaccia come in “Mi vennero a cercare le mosche” e “Francesco” (in criptico e tenue dialogo con “Cercando un altro Egitto” di De Gregori, altra canzone di fuga).

I testi di Luca Spaggiari, mai banali, velano e disvelano come la maschera che egli stesso ha scelto, barba e occhiali scuri, che fanno vacillare l'ascoltatore, incerto se il tutto sia dolorosa autoanalisi simbolica o poesia leggera ed esangue, ironia o sangue e pelle scorticata. La voce alterna sussurri e grida e invera le parole con accenti di sincerità che muovono e commuovono, sostenuta da un suono dritto e deciso, tra psichedelia e grande rock italiano di -anta e passa anni fa, senza concessioni ai suoni alla moda e ai sequencer.

Spicca “Dio Principiante”, delicato blues minimale e floydiano sulla provvisorietà della nostra visione del mondo; il divino montaliano della Divina Indifferenza lascia invece spazio alla presenza di un dio maldestro che ci lascia in preda a contrasti di colore, sensazioni sfuggenti e alcooliche. Musicalmente un pezzo semplice e accattivante, che sprigiona un'inquietudine sognante che ha pochi pari… psichedelia pop d'autore.

Che disco questo dei Fargas! Soldi ben spesi, attesa dell'arrivo del plico da Snowdonia pienamente ripagata. Un disco che richiede moltissimi ascolti, necessari per smarrirsi nel labirinto di specchi perché ci illudiamo di cogliere una nuova allegoria, un sovrasenso per poi perdersi, come quando si metteva sul piatto “Rimmel” o un disco di Rino Gaetano o Faust'O. Bei tempi: questo disco li ricorda in maniera prepotente.

Francesco Misiti