Luca “Fargas” Spaggiari debutta con l'Ep "La grande onda" (Stranisuoni, 2001), e quindi affiancato dal solo Alberto Urbelli, con “Nozze di strada” (Stranisuoni, 2006), un album basato su uno sciolto gusto pop e una passione innata per la variabilità strumentale, ma che nondimeno preferisce il flusso di coscienza di Bob Dylan al ritornello, e le orchestrazioni artigianali alle produzioni roboanti. Dalle session di quest'album Spaggiari ha anche cavato un racconto lungo dallo stesso titolo, in cui s'immagina novello bohemien in una Parigi autunno-invernale satura perlopiù di spazi interiori, persone della memoria, vicoli esistenziali senza apparente via d'uscita.
Dopo ben cinque anni Spaggiari torna con lo stesso moniker e lo trasforma in band. Ciò che ne risulta, “In balia di un dio principiante” è così un disco in cui la bellezza del narrare (per immagini topiche e simboli) s'intreccia graniticamente ad arrangiamenti infuocati.
Spaggiari aumenta la foga, specie nel canto roco certamente debitore di Rino Gaetano come pure degli shouter, ma laddove incontra il Neil Young di “Harvest” nascono numeri impeccabili d'introspezione: “La gente si affolla”, “Dio principiante”, “Mi vennero a cercare le mosche” e soprattutto “Lei nell'aria”, insieme una delle più dimesse e nevrasteniche dell'album, con una jam finale ricolma di effetti allucinogeni.
Ma il grosso dell'opera risiede nelle più potenti espressioni della sua personalità. Spaggiari disegna una gamma discretamente vasta di calligrafie, accomunandole con le sue storie interiori, spaziando così da vaudeville alla “Paint It, Black!” (“Venature di perle”, che accenna a una jam ma si spappola in antri acid-rock) all'elementare e stridula ballata di “Francesco”, dalla lunga “Nuovi paesi” (ballata acustica e poi rimbombo prog-rock di distorsione e riverberi elettronici) alla breve e soffice “Con te passerà l'estate”, da citazioni delle cavalcate più dure della West Coast (“Così l'uomo inventò la strada”) a accusatorie con scintillanti intervalli strumentali (“Rogo a Parigi”, picco dell'album).
Il cantautore eccelle anche nelle nude meditazioni acustiche, vagamente nello stile del Fabrizio De André di mezzo, come “Mela di cartone”, non dimenticando profondità, con una coda di suoni in reverse che acuisce il dramma, e piacevolezza d'ascolto.
E' all'insegna dell'equilibrio il secondo lavoro dell'autore modenese, ma primo di una tetralogia “stagionale”, e un raro - se non unico - esempio di concept in cui il canto (in effetti romanzato, quando non verboso) non intralcia gli strascichi strumentali, e anzi li esalta, li accende, caratterizzandoli come conseguenze, o traduzioni, di un discorso in prosa. Interplay infallibile, produzione tanto piacevole quanto inventiva, arrangiamenti umorali, non solo mutevoli. Spacca, e bene, anche quando si limita a dirigere il traffico. Band: Alberto Urbelli, Davide Canalini, Claudio Luppi. (6,5/10)
Michele Saran
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