“ Il santuario della pazienza ” inizia con una canzone imperdibile (“Limiti urbani”), di una dolcezza compressa, come se l'energia fosse sempre lì lì per esplodere e rimanesse sempre controllata. (Ma che potenza sembra intravedersi dietro la coltre sonora!)
Poi il Cd mostra il suo lato “industrial”, il suo colore metallico, con rumori rubati a officine meccaniche di varia natura, probabilmente a incubi horror e a serial killer conosciuti chissà come.
La cosa che più mi affascina di tutto l'album è la disposizione dei suoni. Sembra che provengano da un'altra stanza, da un luogo vicino, in un ordine/disordine geometrico che ricorda il cervello umano quando cerca disperatamente di mettere in secondo piano, o fare sparire, pensieri scomodi, pensieri ritornanti, circolari, come un senso di colpa, un affetto trascurato, un'amante lasciata altrove, in silenzio.
È “l'atmosfera” ciò che rende importante il lavoro degli Zweisamkeit . Non canteremo le loro canzoni, non loderemo le loro stonature (geniali in “Ingrid” e “Tutto ciò che ci tiene legati”), ma li celebreremo per questa colla di cattivi pensieri , questo ammasso di intenzioni ferrose, di intuizioni celate e semi svelate, di “ti dico come sto ma non uso le parole”.
E per la loro profondissima, faticosa e fruttuosa ricerca anti noia.
Snowdonia ha colpito di nuovo. (7,5)
Josè Leaci
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