Comporre il suono e comporre coi suoni, modulando il silenzio e i gradi di separazione, spingendo il metodo fino a isolare i cinque interpreti in postazioni diverse. Atto di estremismo concettuale che pone l'accento sul processo para-magico di compenetrazione tra voci e sensibilità diverse - talvolta persino aliene - che la musica s'impone quale condizione necessaria al proprio accadere. L'obiettivo era partire dalla paura, dalle fobie che covano nel profondo di ogni musicista, per quindi esprimerle ognuno con calligrafia e strumenti diversi (sax e computer, flauto, chitarre e percussioni, basso, vibrafono...). Altrettanti fili che s'intrecciano in un flusso sonoro minimalista, attonito, sorta di soundtrack dell'incubo a bassa frequenza che accompagna la quotidianità dei più.

Sinfonie destrutturate di blanda paranoia (vedi l'ossessione anagrammistica degli otto titoli - Fobetore, Bofereto, Orbofete... - disposti ad acrostico a ribadire il titolo dell'album) e languore apocalittico, miraggi cameristici e trepidazioni wave che spuntano come fisionomie familiari dalla caligine John Cage, una vaga minaccia scorticata che rimanda all'isolazionismo nevrastenico dei più eterei A Short Apnea, sogni androidi impalpabili dispersi tra scenari concreti e vampe industrial: una tomografia emotiva avanguardistica spezzata dallo spurgo impro-jazz circense di Ertofobe, che a dire il vero suona intruso come una cubista in biblioteca ma se non altro apre uno squarcio sugli argini poetici e procedurali cui il Laboratorio Musicale "Suono C" si è attenuto per assolvere la missione. La quale può dirsi sostanzialmente compiuta. (7)

Stefano Solventi