Una caracollante orchestrina di avanspettacolo è quella che il torinese Daniele Scardanelli sembra allestire nel suo debutto discografico. In queste undici tracce sono tanti e diversi gli stili affrontati, ma medesimo è l'approccio rétro con il quale vengono amalgamati. Sembra quasi di sfogliare un album fotografico in bianco e nero ritraente immagini sfuocate degli anni Trenta, tanto swinganti sono le trame strumentali sulle quali di volta in volta si aggiungono elementi più disparati: da organetti alla Tom Waits a moderne sfumature elettroniche fino a chitarre ora blues ora folk ora acide. Ma ciò che caratterizza fortemente questo lavoro sono i testi senza senso di Scardanelli, per la maggior parte declamati con carica teatrale quasi clownesca, altre volte adottando un più classico approccio cantautorale. Il problema, però, è che le liriche e la loro messa in atto non riescono ad incidere come dovrebbero. Tutto ruota intorno al nonsense, ma la sensazione è che esso sia decisamente troppo fine a se stesso disperdendo così il coraggioso lavoro che sta dietro al tutto. “Il buon senso spiegato al mio cane” si pone vicino ad un ideale incrocio tra Bugo, Dente e Iosonouncane, senza però raggiungere la personalità artistica di quest'ultimi. Ma, come dicevamo, a Scardanelli non manca certo il coraggio di osare (che noi encomiamo), e quando a questo riesce ad abbinare un più contagioso gusto pop i risultati si fanno interessanti come avviene in “Sparare al presidente”, “Per il tuo bene” e “Polvere”. Se in futuro insisterà di più su questa strada forse meno inutile sarà “arginare il caos”.

Andrea Provinciali