Folle pista da ballo per esistenze schizofreniche Ci sono dischi storici assolutamente indigeribili. E poi ci sono dischi bellissimi dimenticati dalla storia della musica. Ma è certo che si contano sulle dita delle mani le pietre miliari della discografia che si continuano ad ascoltare giorno dopo giorno con gran godimento. Qui siamo in una zona di confine tra una indiscutibile rilevanza concettuale e una materia sonora astratta, plasmabile a piacimento dal proprio personale concetto di fruibilità. Materia quasi sempre funzionale, è vero, ad un obiettivo di disorientamento nel reticolo di vicoli abitati da un'umanità cieca di fronte alla propria involontaria comicità, ma che, a tratti (è l'unico limite dell'opera) rischia di divenire pretestuosamente autocitazionista (privilegiando l'imprinting degli autori rispetto all'aderenza strutturale ai contenuti). I Maisie ci hanno abituato, da un decennio, a non dare nulla per scontato e non si smentiscono nemmeno al sesto passo sulla lunga distanza. Normalità per Alberto Scotti e Cinzia La Fauci, è un concetto che contiene in sé i germi di una follia latente, nascosta tra le pieghe di un mondo solo apparentemente intellegibile. La loro Balera Metropolitana , posta ai margini della città, nella periferia più degradata, si candida con autorevolezza ad entrare nella “Hall of Fame” della scena indipendente italiana, in quanto summa enciclopedica (per voluminosità e completezza: 44 brani in un doppio album di due ore e mezza) del kitsch più o meno esibito che contraddistingue il (l') (a) normale vivere contemporaneo. Un cattivo gusto che, nella rielaborazione di artigianato dadaista del gruppo messinese, assume rilevanza filosofica. Un' estetica del “tutto fa brodo nella zuppa di assurdità quotidiane” che si nutre delle aspirazioni cantautoriali dell'ex 883 Maurizio Repetto ( Voglia di Cosce e di Sigarette ) così come dei racconti sgarruppati di Pippo Franco ( La Licantropia ), che si incarna in un contromito della canzone d'autore come Mario Castelnuovo (ammalliante la sua versione di n.79 - Istituto Marino ) e cita mostri pedofili come John Wayne Gacy in uno strumentale apparentemente innocuo. Dicevamo della resa sonora, che, se la balera è una sala da ballo popolare dove ogni velleità pseudoartistica è appiattita nell'immediatezza della fruizione, non può che delinearsi come un centrifugato ipercalorico (in salsa elettropop) di ingredienti inconciliabili come polka, folk, hard rock, rap, funky e ogni altro bene/male del Dio della musica. Le ipocrisie di La Centrale Nucleare , i pruriti razzisti di Hanno Ammazzato Un Bambino, le illusioni plastificate del cinema porno di Maria vengono totalmente dissacrate da un approccio a bassa fedeltà che fa apparire il fluire di vite comuni come un ridicolo sogno di qualche architetto ubriaco. Critica all'umanità intera che si fa autocritica in quelle che sono, a tutti gli effetti, metacanzoni. Metacanzoni perché parlano, per l'appunto, di musica e dei suoi presunti vati e pseudovati. Da John Zorn a Bugo, da Cristicchi a Mogol, passando per citazioni di Who e parodie dei Baustelle, anche il mondo delle sette note non sfugge allo sguardo strabico e straniante del gruppo messinese. Suoni plastificati, campionati, sintetizzati; interpretazioni stravolte e dissonanze; cori urticanti e spigolosità. Se non vi piacciono, rassegnatevi al silenzio. Giusto che la colonna sonora di un mondo folle come quello in cui viviamo sia solamente questa. (4/5) |