Incappo nel disco omonimo di Deian e Lorsoglabro , attratta dalla copertina: un orsetto giallo con due buchi neri al posto degli occhi (dipinto dallo stesso autore del disco). Lo metto su e l'ascolto.

Sono immediatamente investita da un'atmosfera composta da chitarre, sax, contrabbasso, voci, pianoforte, trombe e tromboni. Respiro a pieni polmoni questa nuova apprezzabile brezza nello stantio etere musicale che mi capita sovente di attraversare nei negozi di dischi.

Mi ritornano in mente Dylan, Barrett, Beatles, ma anche Battisti ed Elio con le sue storie tese. Nella pasta delle emozioni che questo giovane cantautore  dona con voce che si può tranquillamente definire “orsoglabrica” (aggettivo da lui stesso coniato) ma anche “deianica”. Non è catalogabile in un genere preciso, Deian si muove trasversalmente tra folk, psichedelica, rock e jazz combinandoli sapientemente.

Parte così il viaggio tra questi piccoli, grandi racconti di storie quotidiane che, come un'altalena sghemba, dondolano tra il serio e il faceto, toccano le corde del malessere mentre dileggiano su tutto e tutti.

Quando giungo al terzo pezzo, Danno permanente , mi trovo catapultata all'interno di un'esperienza iperreale che penso ricorderò davvero « per sempre sempre ». Perché quell'armonica “dylaniata” ti si imprime nella memoria e non ti abbandona più.

Parte lieve Lei non sa chi sono io , canzone d'amore (?) desolato, « perché l'amore non ha prezzo, l'amore io non apprezzo » canta Deian in una canzone forse “troppo perfetta da capire” al primo ascolto, « ma se io le faccio causa è perché lei mi fa effetto ». Da ascoltare e riascoltare.

Dopo le jam di Big Bang, pezzo che non strizza mai l'occhio (soprattutto quello più grande) a certi ascoltatori dell'ultima ora, raggiungo Nonostante i lampioni e sosto lì sotto la pioggia jazz - Ivan Bert alla tromba nell'intro e il sax contralto di Gianni Denitto – perché non mi importa di bagnarmi… mi stendo sul tappeto di fiati e sto a guardare la luna che « è così bella nonostante tutti i progetti edilizi ». Anche questa è Torino.

Senza Paura (non) si può arrivare al Poema del becchino, pezzo dagli echi deandreiani, che per il ritmo trascinante fa venire in mente il Capossela del Ballo di San Vito. Solo che qui non ci sono tarantolati… ma piuttosto una danza arcana, elegante come una ballata francese.

Tra medietà desiderate e rifuggite (Medio), le confidenze non troppo intime di Una bella novità e I am the tonno , un pezzo potenzialmente infinito con voci misteriose e innaffiate balcaniche, termino il mio viaggio in Un giorno d'inverno , in cui – canta Deian - « mi sento eterno anche io e per un momento mi accontento di ciò ».

Qui non ci si accontenta, si gode appieno di un disco raffinato e non più acerbo.

Valeria Napolitano