La cosiddetta “nuova scuola torinese” è ormai dominio pubblico. Dopo la compilation, i supporting al Traffic, l'articolo su Rumore, i nomi di Vittorio Cane, Deian e Lorsoglabro, Stefano Amen, Matteo Castellano e del polistrumentista Paolo Spaccamonti sono diventati familiari a coloro che seguono l'attività indipendente. Dopo le performance degli altri, è ora Deian e Lorsoglabro a uscire proprio oggi venerdì 30 ottobre con “Omonimo”, secondo lavoro e primo per Musicalista “con la tacita connivenza di Innabilis e Snowdonia” distribuzione Self.
Se pur condividono gli ambienti e la modalità espressiva, questi autori mostrano caratteri tutti diversi fra loro: ove la prosa di Cane è ammiccante e la forma prediletta da Amen ne rivela contorni dropout, la scrittura e l'interpretazione di Deian Martinelli sono stralunate, figlie del binomio Dylan/Barrett e per niente vicine alle creazioni anche lontanamente recenti. Su “Omonimo” poi è stato operato un ingente lavoro di produzione, principalmente con addizione di fiati, che ha conferito maturità e tolto la pervasiva naiveté dalla cifra dell'opera.
Almeno tre le tracce che si distinguono: Lei non sa chi sono io , “e forse non lo so neanch'io”, canzone dell'amore nolente (”L'amore non ha prezzo, l'amore io non apprezzo”) con al clarino Alessandro Arianti, da tempo pianista nella band di De Gregori. Poi Nonostante i lampioni , che inizia con un sassofono giaaaas e droni di chitarre shoegaze molto distanti, la lentezza di Cortex in interferenze d'ottone e raddoppio di voci, la notte torinese quando si suona: “La luna è così bella nonostante tutti i progetti edilizi”. Anche in dirittura, lunghissima session strumentale: that's the way? e la pioggia, la pioggia… è “Lontano dal paradiso” questo film, “Black Dahlia” e tutto Ellroy… Infine, nel novero degli ottimi, Il poema del becchino , cioè Vinicio Capossela nel topos, quello più vicino ai Calexico, però acido e deandreiano, con accordature blues inveterate da balade francese.
L'album apre con la classica Che ci vuoi fare, sempre sul filo dell'ironia lessicale, con rimandi vaudeville, e imprevista coda alt.psycho per gorghi di campanelle oniriche: fischietto is the new handclap. L'occhio più grande che ho introduce una vocalità strania, alta, raffreddata. Surreale e spinta nel residuato 70, d'autocoscienza (Gaber), il suo finale orchestrato da natale malinconico spalanca le porta al cavallo di battaglia mock-eroico di Danno permanente, con l'inciso “per sempre sempre” mutuato da una vecchia pubblicità Telecom con Christiane Filangieri e un'armonica a bocca dylaniata. Alla vecchia il rockpopfolkblues dentro Big bang, spirito di jam e arrangiamenti adult oriented, non piacioni; Medio elogia lo stare nel mezzo in mood Dino Fumaretto con le trombe, Una bella novità è confidenziale. Chiusura d'obbligo con I am the tonno, tuna folies in sequel di Mi piace il tonno, plausibile soundtrack di Gomma Workshop per un film di Avati, influsso balcàno fino a perdere il controllo (primi East Rodeo) e sovraincisioni folkie di valle: volta la carta!
“Omonimo”, cose differenti chiamate nella medesima maniera, quando la direzione non è consapevole e si suona innanzitutto per il piacere di farlo. Ma ora che l'album di Deian è venuto alla luce del giorno, una strada la trova da sé come le tartarughe verso il mare.
Enrico Veronese
|