Dischi come questo ti fanno intuire, casomai non l’avessi capito, che il punto non è quanto la musica cantautoriale riesca ad incaricarsi della realtà, ma quanto ti obblighi a rimbalzare nel reale ascoltandola, e questo grazie - ça va sans dire - ad un efficace connubio tra musica e testo. Lavoretto a catena è il primo album “vero” per Ance, al secolo Andrea Lovito, under 30 da Empoli che ha maturato l’attuale cifra cantautoriale dopo anni di ribaldo punk rock, autoproduzioni più o meno scellerate e persino teatro (dai musical à la Notre Dame de Paris alla commedia vernacolare). Soprattutto, l’esperienza professionale come operatore socio sanitario gli ha concesso un punto di vista particolare su micro e macrocosmo, di sicuro un irreversibile disincanto che dissacra e spande tonnellate di fiera, saggia amarezza. Musicalmente t’imbatti quindi in una sbrigliata misticanza di swing e folk venati blues e psych, roba che ora ti rammenta
il Capossela bandistico (nella Transilvania goliardica di Vampiro) e ora una improbabile
jam tra Sting e il primo Dalla (Surreale dolcevita), ora ti serve paolocontismi bacciniani (nel senso di Baccini - almeno quello gustoso degli esordi - in Media vita) e ora lascia trapelare una certa intimità col Byrne solista ma anche Calexico
e forse pure Specials (Clone), per non dire di quella Decorazioni che riveste i Perturbazione
di sdegno maturo e d’una ineffabile glassa spacey-jazz. Il tutto impreziosito qui e là dal sax e dal clarinetto di Nico Gori, giovane rampante protagonista del jazz italico che mai avrei
immaginato in un disco Snowdonia - a proposito: bentornata! - ma vedi te come va il mondo.
Quanto ai testi, giocano a cantartela dritta e a eludere con stile, hanno l’asprezza dell’arguzia ad alzo zero, quella che perde, che vince, che vede il bluff e fa la prova del nove ad ogni giro di lancetta. Quella capace di “soffrire con allegria”. Quella che “lo so che può sembrare infantile/ sognare la spirale del vinile/piuttosto che affogare in un mare di mp3”. Eppoi, soprattutto, che osa far stare nella stessa fulminante strofa (della conclusiva Forse Tutti Parte III) le parole “Benedetto”, “campo” e “concentramento”, e chi vuole intendere intenda. Ok, tutto ciò non farà di Ance un genio. Però me lo fa rispettare come pochi. (7.1/10)

Stefano Solventi