Gran bella sorpresa Jet Set Roger da Brescia. Frammenti di quotidianità visti da angolazioni oblique, filtrati da una finta seriosità ad un passo dal non-sense ("Credevo di essere un tipo allegro / ma poi mi sono accorto che non era vero" ). Musicalmente niente di speciale, un pop-rock che occhieggia ora a sonorità di quarant'anni fa, ora al piano kabarett versione Dresden Dolls, senza mai prendersi sul serio e a perfetto accompagnamento di testi intelligenti e mai intellettual(oid)i. Il risultato finale è così la realizzazione dell'incontro apparentemente impossibile fra Federico Fiumani e gli Ottavo Padiglione.
Il primo è evocato tanto nell'impostazione del cantato e di alcuni brani, quanto nella scelta di testi che inquadrano situazioni proposte in medias res, senza alcun antecedente o introduzione, partendo dal personale per attuare poi un ampliamento degli orizzonti. I secondi vengono in mente per la generale predisposizione a porsi con atteggiamento tutt'altro che scanzonato a fronte di tematiche paradossali, con il preciso obiettivo di fare cortocircuitare forma e contenuti in un risultato che spiazzi e spinga ad un sorriso. Sorriso e non risata, attenzione, perché comicità o demenzialità sono altro.
Il risultato sono dodici pezzi che si piantano in testa con facilità disarmante, con il valore aggiunto di testi che propongono situazioni stuzzicanti e per nulla scontate (basti citare la sesta traccia, parallelo tra la questua di un tossico e il lavoro di commesso: "Sono i soldi quel che vuoi / si pensa con disprezzo / D'altronde neanche io / sono qui per un mio vezzo". La componente ironica si impone dunque come elemento basilare e fondante, strumento necessario per apprezzare un disco che, per attitudine e forma mentale, si pone in scia a lavori come quello dei Rino Ceronti. Mai banale senza essere sperimentale, mai gioioso senza essere depresso. Jet Set Roger si pone in mezzo. E in obliquo.

Marco Villa