A dispetto delle sovrastrutture e degli artifici della vita “borghese”, il beat è nato, ormai più di cinquant'anni fa, come riscoperta di sé stessi, delle proprie radici, come voglia di viaggiare, lungo una strada o stesi su un divano, voglia di sesso senza falsi pudori, come ribellione contro la mentalità americana del dopoguerra, ipocrita, perbenista e fortemente razzista, come contestazione feroce contro la guerra in Vietnam. Grandi pensieri, grandi idee, grandi tematiche.
Proviamo invece a cambiare prospettiva e a scendere di un paio di gradini. Ci avete mai pensato? Cosa c'è di più serio di un gioco quando si è bambini? Nulla. E “se v'è una degenerazione è esattamente quella di non saper essere più bambini” . Volendo ridurre un intero movimento culturale all'osso, si potrebbe pensare in altro modo al beat come voglia di “restare” bambini, rendendo alla vita i propri diritti naturali, quelli più semplici, più puri, senza le corazze che la vita costringe ad indossare. Da questa considerazione, estrapolata da un articolo pubblicato sulla rivista Mondo Beat nel 1967, prende le mosse questo “Vedo Beat” di Franco Naddei, ora conosciuto come Francobeat.

Riminese classe '72, prima di diventare Francobeat, Franco Naddei è stato un migliaio di cose tutte insieme: nei primi anni '90 componente di un gruppo techno-pop, poi produttore di musica dance , “produttore” di piadine, DJ radiofonico, nel '98 DJ e animatore in un pub di Rimini e, dal '99, per diversi anni, fonico dei Quintorigo. Parallelamente a queste attività, nel 2001 Franco Naddei ha dato vita con due amici, Marco Battistini e Michele Barbagli, a Cosabeat, uno studio di registrazione all'interno di una casa colonica nella campagna forlivese, una sorta di “laboratorio creativo permanente” che ospita non solo musica, ma anche attività teatrali. Francobeat, invece, è una creatura nata più recentemente, nel 2005, dopo il naufragio del progetto Autobeat , ideato dallo stesso Franco Naddei alla fine degli anni '90 per dare sfogo alle sue pulsioni musicali/letterarie e lasciato morire nel 2004, alle soglie della pubblicazione del primo disco. Dalle ceneri di Autobeat, quindi, ha preso forma il progetto solista Francobeat e questa sua opera prima.

“Vedo Beat” è un disco dedicato al beat, la sua grande passione, in modo intelligente, senza riempirsi la bocca dei grandi nomi di Kerouac, Ginsberg e Borroughs, pace all'anima loro, ma strizzando l'occhio alla beat generation italiana e prendendo in prestito le parole di grandi pensatori come Ennio Flaiano e Marcello Marchesi. Un sunto complesso che mette davanti allo specchio le parole sia dei capelloni, che dei pensatori, se vogliamo due diverse realtà unite da uno spirito comune: libertà e capacità di pensiero. Un disco, quindi, in cui la parola la fa da padrona, relegando volutamente la musica in secondo piano, in appoggio. Il bello di questo lavoro è che, pur prendendo spunto dagli anni '60, riesce ad essere moderno, attuale. E questo grazie proprio alla musica, ai suoni, semplici (chitarra, basso, batteria e qualche tastiera) e allo stesso tempo ricercati, anche senza dare nell'occhio. Anche l'impostazione della parte parlata è ben centrata, mai pesante e sempre pronta a catturare l'attenzione attraverso i tanti diversi frammenti di cui il disco si compone. Una sorta di mosaico senza la pretesa di essere un lavoro nozionistico o divulgativo, come si potrebbe pensare a priori, ma solo l'insieme di tanti tasselli visionari, ironici e autoironici, se visti nei panni di chi si sente un po' capellone: “Essi affermano di esprimere, col loro aspetto, la ribellione; ma non sanno spiegare il perché d'una rivolta diretta principalmente contro il parrucchiere e il detersivo”. Insomma, di carne al fuoco “Vedo Beat” ne mette davvero tanta, grazie ai testi dello stesso Francobeat, agli estratti dalle pagine di Mondo Beat e alle parole di Marchesi e Flaiano. Certo, per come è concepito e strutturato, non si tratta di un disco da ascoltare mille volte al giorno perché non si può pensare di farlo suonare in sottofondo mentre si fa altro, però, visto nella sua interezza, “Vedo Beat” costituisce un buon insieme di spunti che hanno il pregio di riuscire ad incuriosire anche l'ascoltatore più passivo: sfido chiunque ascolti questo disco a non farsi venire la voglia di ficcare il naso nel fenomeno beat.

Thomas Paulo Odry