Un film a episodi con Nino Manfredi e Sylva Koscina ma anche uno dei tanti tentativi di affrontare con leggerezza l'argomento “sesso” in un momento storico in cui parlare di certi temi era ancora tabù. A quei tempi, in questo genere di pellicole, ci si doveva accontentare di un voyeurismo dilettante, forse un po' sgangherato, che alludeva invece di dire, che scopriva ma non mostrava, ma quale fascino l'ingenuità racchiusa nella voglia di liberarsi dai vincoli conservatori del passato grazie a uno slip a vita bassa, quale meravigliosa innocenza i tagli a caschetto e le stoffe variopinte indossate dalle ammiccanti protagoniste. Cosa centra “Vedo Beat” con questi film? Nulla o quasi, anche se il disco di Franco Naddei oltre a richiamare apertamente gli anni sessanta, riassume un po' la logica alla base degli stessi, in un collage di manufatti imperfetti ma affascinanti, fuori dal tempo e lontani dalle estetiche attuali, dove l'ironia e il ricordo affezionato diventano un'arma contro l'appiattimento culturale contemporaneo. Un progetto che prende il via dal libro “Mondo Beat” edito da Stampa Alternativa, per poi trasformarsi in una riflessione a tutto tondo sulla società moderna in forma di poesia - grazie alle rime di Ennio Flaiano, Marcello Marchesi, Silla Ferradini -, frammenti letterari e brani musicali. Dal punto di vista del suono si parla spesso di beat, sia esso il nonsense in allitterazione di 4 omini e 4 gatti, il sound alla Montefiori Cocktail di Ricami di Bile o il pianoforte–fuzz di Ciao Caro, anche se i confini di genere risultano, alla fine, soltanto fittizi: Un libro è punk involontario e scoordinato, Sfasciare delle macchine in giugno è un rock-funk robusto, Amore utilitario è la parentesi elettronica del disco, Una volta ancora quella leggermente psichedelica. Il resto è una centrifuga di idee brillanti, intuizioni narrative efficaci, rime calibrate che oltre a divertire e far riflettere consegnano ai posteri un autore di musica in agrodolce dal peregrinare leggero, incontrollato ma inspiegabilmente lucido. Fabrizio Zampighi |