Il jazz beat alla Tenco della rilettura di "Ricami di Bile" (Marcello Marchesi), col suono del theremin posticcio, è un gran bel numero, così come le variazioni pop psichedeliche vagamente Of Montreal di "Il Paradiso degli Uomini Fottuti" (poesia beat di Silla Ferradini), e ancora il ritornello di "4 omini e 4 gatti" o il power-Blur di "Un Libro". Franco Beat snocciola le parole del suo libro sonoro come fosse un reading o un lungo monologo teatrale e, specialmente quando canta le sue canzoni, la registrazione della voce sorniona, volutamente in primo piano/distaccata rispetto allo sfondo musicale, penalizza un po' il godimento di pezzi dal potenziale pop notevole. È chiaro, però, che si tratta di un'esplicita scelta di "spaesamento" rispetto alle "buone regole della canzone". "Canzone all'italiana" che in qualche modo misterioso viene vivificata, forse perché la sintassi è adagiata, o meglio, "spremuta" su ritmi pop d'importazione con una strategia che rimanda all'ingenuità lirica dei sixties, capovolgendola: Franco Beat pare sottilmente e perfidamente fregarsene. L'invettiva politica dell'hip hop italiano anni '90 si fa avanguardia indie negli anni 2000, quando scopre il cordone ombelicale della filosofia beat dei sixties, e toccandone la mandragola surreal-psichedelica diventa forse il primo esempio di…Italian 'spoken word' lounge pop. Davide Ariasso |