Super-concept album intorno alle idee del/sul/nel "beat" come fenomeno "esistenziale", questo "Vedo Beat" è oggetto non identificato, anche se relativamente alieno in quanto proveniente dal pianeta weirdo Snowdonia. Franco Beat incappa in un libretto di Stampa Alternativa dal promettente titolo "Mondo Beat" e, squadernandolo, scopre un ulteriore sostegno per ciò che la sua anima musicale… no, psicologica… no appunto, esistenziale, desidera comunicare: il modo giocoso in cui mondi fantastici possono rendere creativa la vita di tutti i giorni, lo scontro fra libertà e reazione nell'Italia di oggi, che rimbalza, riverbera, è riflesso dall'atmosfera culturale dell'Italia nell'era beat. Ne nasce un patchwork in cui le canzoni sono un semplice pretesto-soundtrack per un diluvio di liriche, poesie, ironiche invettive beat, mescolandosi quasi senza soluzione di continuità a citazioni da Ennio Flaiano, Marcello Marchesi, e direttamente dai capelloni o dai loro oppositori/inquisitori sulle testate italiane di quegli anni "favolosi". Si potrebbe parlare di mero divertissement intellettuale, non fosse che in diversi casi le canzoni vanno in orbita con ritornelli o versi che sembrano, ehm… un Samuele Bersani andato a lezione d'obliquità e "wit" da Momus: e ciò è promettente e buono.
Il jazz beat alla Tenco della rilettura di "Ricami di Bile" (Marcello Marchesi), col suono del theremin posticcio, è un gran bel numero, così come le variazioni pop psichedeliche vagamente Of Montreal di "Il Paradiso degli Uomini Fottuti" (poesia beat di Silla Ferradini), e ancora il ritornello di "4 omini e 4 gatti" o il power-Blur di "Un Libro". Franco Beat snocciola le parole del suo libro sonoro come fosse un reading o un lungo monologo teatrale e, specialmente quando canta le sue canzoni, la registrazione della voce sorniona, volutamente in primo piano/distaccata rispetto allo sfondo musicale, penalizza un po' il godimento di pezzi dal potenziale pop notevole. È chiaro, però, che si tratta di un'esplicita scelta di "spaesamento" rispetto alle "buone regole della canzone". "Canzone all'italiana" che in qualche modo misterioso viene vivificata, forse perché la sintassi è adagiata, o meglio, "spremuta" su ritmi pop d'importazione con una strategia che rimanda all'ingenuità lirica dei sixties, capovolgendola: Franco Beat pare sottilmente e perfidamente fregarsene.
L'invettiva politica dell'hip hop italiano anni '90 si fa avanguardia indie negli anni 2000, quando scopre il cordone ombelicale della filosofia beat dei sixties, e toccandone la mandragola surreal-psichedelica diventa forse il primo esempio di…Italian 'spoken word' lounge pop.

Davide Ariasso