Ci avevano dolcemente trapanato
i timpani con i loro primi lavori i Maisie, perline no-wave forgiate da
un magma primordiale fatto di tutte le musiche del mondo, si erano travestiti
da compositori puri facendosi produrre e arrangiare da geniali eminenze
grigie dell'underground mondiale in un capolavoro che racchiudeva anch'esso
tutte le musiche del mondo, ci avevano rilassati svagati e divertiti con
quel caleidoscopio poppeggiante e sbilenco che era "Bacharach For
President, Bruno Maderna Superstar", con dentro tutte le melodie
del mondo. Ma, per chi aveva orecchie per sentire, in questo mare di musiche
è sempre svettata, più importante di tutto, un'anima, molto
spesso nascosta, altre volte appena accennata, un'anima melodica e italiana,
l'orgoglio di essere nati e cresciuti in un paese che ha prodotto pagine
straordinarie di musica popolare e colta allo stesso tempo, una musica che
i Maisie non hanno mai nascosto di amare visceralmente e verso la quale,
consapevolmente o inconsapevolmente (da ascoltatore mi permetto di azzardare
- forse inconsapevolmente - ) hanno teso fin dagli esordi. E allora si ripresentano in questo 2005 i Maisie e adesso sono in quattro: assieme ai fondatori del progetto Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, giocano Paolo Messere, titolare dei Blessed Child Opera (riscoprite anche loro) e dell'etichetta Seahorse Recordings, che co-produce il disco con Snowdonia, polistrumentista, arrangiatore, tecnico e produttore, e la cantante Carmen D'Onofrio, straordinaria, passionale, espressiva, voce meravigliosa che sa di sud, che è sud, che ogni parola che pronuncia diventa atto di amore e sentimento. Il disco "Morte a 33 giri", cantato completamente in italiano, è il loro capolavoro assoluto, tappa finale di un percorso iniziato anni fa e modificatosi pian piano, maturando ogni giorno un pò, e capitolo iniziale di una nuova scintillante avventura musicale, un viaggio nel cuore della musica per il cuore, emozione e commozione continua, gioia e malinconia, un prisma sentimentale le cui infinite sfaccettature spaziano dai Velvet Underground a Heather Parisi e tutto quello che ci sta in mezzo, ma anche prima e dopo. E a introdurci alle bellezze del disco sono i moderni beat della title track, treno sul quale viaggiano le chitarre (arrangiate in tutto il disco in maniera magistrale) e le voci incrociate e doppiate di Cinzia e Paolo, con uno struggente violino a sottolineare l'umanità dietro le macchine, anzi sopra le macchine. In questi quattro minuti iniziali è già ben visibile il lavoro di rinnovamento che i Maisie operano non solo sulla loro musica, ma sulla musica popolare italiana tutta, che svecchiano mantenendo un forte appeal commerciale e arricchiscono con parole tanto belle e naturali che paiono essersi scritte da sole. "Le donne, in gara per il primato mondiale di sofferenze, ci appaiono come dolci fantasmi della coerenza. Fate arrabbiate in un videogame "(ah, ah, no global in un videogame)…fai click su off e spegni il 68, scivola sul 77, sull'85, sui Duran Duran. O Duran o Spandau" recita il pezzo, chiarificatore della poetica dei Maisie, tutta fatta di descrizioni di sensazioni e piccoli eventi della quotidianità, la maggior parte delle volte talmente particolareggiati e personali da fartene sfuggire senso e significato, e invece l'universalità dei loro testi è tutta qua, nelle parole singole, negli accostamenti di frasi, in un transfert automatico che rigetta le loro esperienze concrete nelle nostre e tratteggia un disegno e una visione totale del mondo che ci circonda e della realtà che viviamo onesta, appassionata, di critica sincera perché dettata dall'amore, comunista nel senso più bello e poetico del termine. "Vivan Las Casadenas", dieci minuti di estasi con una lunga intro dolcissima e bucolica, spinta nello zucchero dalle voci di Cinzia e Carmen ("La libertà ha delle controindicazioni che non hai considerato/ Te ne accorgi sul balcone di cui ti vanti/ che forse tre metri quadrati non sono poi tanti" - notate come i versi siano connotati da un significato sempre multiplo, riferibile a temi sociali/universali e amorosi/particolari allo stesso tempo - ) e una seconda parte di melodie sottopelle, angeli che cantano, innocenza e navette alla Pastels, la musica che si scurisce quando le parole si fanno più dure ("La mia ansia di rivolta/ si annoia come un malato in barella/ come se si inceppasse la rivoltella") e si distende e si rilassa nello spirito di una rassegnazione che è in realtà voglia di fare, di migliorare, di riuscire ancora, in un'epoca in cui la velocità con la quale riceviamo le informazioni si avvicina a quella della luce, in un mondo in cui le stesse canzoni hanno subito la mutazione da opere di ingegno a insiemi di byte, a prenderci il tempo per riflettere sulle cose e a meravigliarci per le cose belle ("Su coprire le carni!/ che vedono anche i bambini/ sì, ma poi, tutti al mare in bikini/ tutti al mare in bikini./ Urlo in rewind/ di fronte alla barricata/ rimettetemi in catene/ rimettetemi in catene"). La successiva "L'inverno precoce", picco assoluto del disco per chi scrive, è musicalmente una perfetta hit radiofonica, compositivamente ineccepibile, scorrevole, emozionante, l'indie pop che incontra i gusti di Luzzatto Fegiz con uno dei ritornelli più belli degli ultimi anni, capace di quello scarto emozionale che da frasi che si canticchiano lo eleva a pura poesia. È una canzone che con tutti i suoi echi e riverberi suona come un sogno e parla del sogno, delle storie mai vissute, di quel mondo parallelo in cui la realtà quotidiana si fonde con una trama cinematografica rendendo possibili incontri impossibili e trasformando in amore puro la vista e l'odore di una persona sconosciuta con il caso a muovere tutto ("Ora di punta/ cappotto sbagliato/ in mezzo al mercato/ sognavo di te"). E ne parla in maniera straordinaria, con un taglio romanticissimo pregno di significati, che vanno tutti verso la creazione di un sentimento che, perché irreale, è ancora più vero, istintivo e primordiale che mai ("Lo vedo non parli/ parcheggi lontano/ la panda ammaccata/ la targa straniera/ la giacca rubata mi parla di te./ E non ti conosco/ e non mi conosci/ e mangi un gelato/ io bevo un caffè./ Tepore sognato di quelle coperte in offerta speciale/ le compro per te") ; spiarsi, rubarsi cose e farsi i regali, immaginarsi scene insieme, amare l'odore, l'atmosfera che una persona emana senza nemmeno conoscerla, l'attaccamento morboso e feticista agli oggetti e, nel ritornello dolcissimo di zucchero colorato di blu nero e bianco ("Ma tu ti allontani/ che freddo alle mani/ aspetto gli amici e parlo con me/ un mare di piume che cade veloce/ l'inverno precoce odora di te"), la bellissima immagine di "un mare di piume che cade veloce", le piume di un giubbino di piume che è l'inverno precoce cadono veloci come in un film modificato in digitale, un flash nella realtà che torna prepotentemente nella seconda strofa ("sono una forza/ spingo i pulsanti/ maneggio la stecca come un campione/ e Luigi è un coglione se vuole sfidarmi/ ti giuro vent'anni/ lo ricorderà"), nella quale il richiamare contesti e argomenti quotidiani sembra l'unico modo per contrastare la voglia di rifiondarsi nel proprio spazio filmico (che sia "La Doppia Vita di Veronica" o "Sposerò Simon Le Bon" non ha importanza, quello dei Maisie è entrambi); ma intanto, mentre si aspettano gli amici, in questa realtà nella quale capita spesso di non essere se stessi e soprattutto capita di perdersi momenti e sensazioni, il freddo alle mani di cui parla questa canzone e i processi mentali da cui scaturisce così ben descritti rappresentano la complessità di uno dei sentimenti se non più belli di sicuro più "solo nostri" che si possano provare. Il trittico di canzoni successive, "Maria De Filippi (una vergine tra i morti viventi)", "Sistemo l'america e torno" e "?Uma.no" rappresentano il cuore più cupo del disco e si snodano come un'unica grande riflessione che parte dal tema del disagio generale ("Ho messo da parte un altro cadavere perché/ non credo più a niente/ Ah, la luce blu/ vedo dal monitor che ci sei/ sono i tuoi ultimi istanti di vita/ sarai sepolto dalla saliva delle bocche"), attraversando la rivendicazione di una diversità rispetto agli abitanti dei "paloebarattoli" per dirla alla Zero ("Quel che mi disturba è la tua faccia/ quel modo di portare i capelli come se non fosse importante/ quel che mi disturba è vedere che ti commuovi con Bob Marley/ sognando una Harley nel deserto/ quel che mi disturba è che parli di Roberto/ morto di overdose/ come le mille altre cose da sistemare/ beh, ok, va bene/ ci si becca dopo/ vado a mangiare/ vado a mangiare"), arrivando a toccare amore e sentimento senza alcuna soluzione di continuità stilistica, narrativa ("il tuo senso critico/ il tuo fare logico/ mi butta giù….ti manco/ sento che ti manco (sei umano e non lo sai)/ ti manco/ sento che ti manco (sei umano anche se non vuoi più, non vuoi più)") e musicale, passando dal cupo mantra di "Maria De Filippi" alla ballata acustica-apocalittica di "Sistemo l'america e torno" fino ai Matia Bazar targati 2005 di "?Uma.no". "Finché la borsa va lasciala andare" ironica fin dal titolo (ma non troppo), synth-pop italianissimo, svela un altro dei lati del pensiero Maisie, la consapevolezza che l'andare "contro" a priori è un non andare contro in realtà, che fare l'intellettuale per il gusto di fare l'intellettuale è solamente un fare i fessi, che per chi certi sabato pomeriggio non li ha vissuti un paio di scarpe nuove può rappresentare un importante punto di svolta ("nel mio caso sto lodando il consumo e non avverto disgusto/ mi trovo bene/ non mi taglio le vene/ mi trovo bene/ non mi taglio le vene/ Magici sabato pomeriggio/ mai vissuti/ tipi in giro con le scarpe nuove/ e le vuoi anche tu/ le vuoi anche tu"). E poi arriva "Sottosopra", splendido inno d'amore, quando il ruolo della coppia, la complicità, l'affinità, il volersi bene è talmente centrale e totalizzante che il resto del mondo appare deformato, rivoltato ma comunque bellissimo, al di là di spazio e tempo, e oltre ai lampioni che crollano, al cielo verde e al sole, diventano concrete e visibili e gialle anche le idee ("mi ricordo che/ tu volavi morbida/ sotto il cielo stava verde su di noi/ Crolla tutto/ i lampioni su di noi/ qualche idea stava gialla su di noi/ mi ricordo che/ tu sembravi morbida/ e cadendo giù superavi il tempo/ sottosopra"). Cantata da Cinzia e Bugo, quasi interamente suonata da Messere che gli conferisce un taglio languido, malinconico e struggente, con in coda un lungo solo di flauto che accompagna i corpi in caduta libera, "Sottosopra" è colonna sonora perfetta per un "volersi bene" di battistiana memoria nonché un mettere in gioco i propri sentimenti talmente esplicito da fare quasi paura. Il disco si conclude con i due pezzi successivi, "Allargando le braccia", come se l'amore di "Sottosopra" sia passato ma mai finito, mistico, quasi religioso ("fai sì che la grazia su di noi ridiscenda/ allargando le braccia/ allargando le braccia"), ma anche prepotentemente terreno e carnale ("Ho bisogno del tuo paradiso/ di una sigaretta dal fuoco blu/ che accendendoti la guancia in un sorriso ci riporti su/ dove il più magico dei tuoi profumi/ diventa balsamo per il sole/ ho bisogno di questo dolce miele/ del tuo autentico sudore") e "Una canzone riciclata", posta in chiusura come summa di tutte le tematiche affrontate nel corso del disco, schiaffo in faccia finale da parte di gente che, alla faccia di robot e replicanti, ancora vive col cuore che pulsa ("C'è un deficit di realtà/ me ne accorgo chiaramente da come cammina la gente/ e una vicina con la borsa della spesa/ ingombrante anche se non pesa… i muri non si abbattono a testate/ e le zuppe riscaldate e le maglie rilevate e cento morti rimandate/ L'esistenza chiusa in cella/ una canzone riciclata/ guarda lo schermo con attenzione/ è un attentato moltiplicato/ E non ci capisci niente e neanche ti lamenti/ e non ci capisci niente e neanche ti lamenti"). Con "Morte a 33 giri", i Maisie aprono un nuovo corso per la musica popolare italiana, riuscendo ad amalgamare tutte le loro influenze musicali in un unicum che trasuda passione e melodia da tutti i pori, scrivono testi dal significato profondissimo, metricamente stupendi come se fossero già classici, il tutto con uno strepitoso fascino di superficie leggero e popolare, confezionando uno dei più bei dischi prodotti in Italia negli ultimi anni. Si meriterebbero di fare i soldi, altroché. (8.5/10) Nicola Mazzocca |