“Morte a 33 giri”, questo il titolo del disco, un'opera che rappresenta un sunto efficace dell'intelligenza creativa del combo applicata alla melodia - questa volta in italiano e perché no, all'italiana - senza le banalità che spesso accompagnano forme espressive legate alla tradizione italica analoghe per indole ed obiettivi. Per il nuovo viaggio i due musicisti si attrezzano chiamando a raccolta un pugno di amici, tra cui Bugo, Stefania Pedretti, Alfredo Spinelli, Paolo Messere, Carmen D'Onofrio, convinti di poter fondere in un'unica creatura, elettronica anni Ottanta e strumentazione folk, campionamenti moderati e coscienziosa ricerca armonica. Ne escono dodici tracce piuttosto stratificate, caratterizzate da atmosfere decadenti e vagiti new wave, sviluppo lento e testi che parlano di adolescenza svanita, in cui la vena surreale del gruppo fa il verso al pop laccato di vent'anni fa senza apparire pomposa o superficiale. Di particolare interesse il trip vacuo di Maria De Filippi, l'Heroin post-industriale di Sistemo l'America e torno, l'omaggio ai Kraftwerk di Una canzone riciclata, le derive quasi orientaleggianti di Morte a 33 giri, la Rettore di Finchè la borsa va lasciala andare. Brani in cui il violino insegue le basi elettroniche, la fisarmonica divide il palco col basso, l'armonica a bocca dialoga con lo xilofono, in una girandola di contrappunti strumentali spesso quasi fin troppo dispersivi nella loro abbondanza, tuttavia mai scelti a caso. Una convivenza di stimoli che fa di “Morte a 33 giri” un'opera fondamentalmente riuscita, adatta ai nostalgici della decade dell'effimero – appunto gli anni Ottanta - ma anche a coloro che non si rassegnano a dover consumare – abitudine dei tempi moderni - soltanto musica da una botta e via. Fabrizio Zampighi |