Abbandonata l’estetica
della dissonanza, pure cara all’etichetta messinese e al suo curato
roster, i creatori stessi del “mistero snowdoniano”
Cinzia LaFauci/Alberto Scotti aka Maisie
si arricchiscono del contributo della voce di Carmen D’Onofrio
e del polistrumentista Paolo Messere. Il risultato è
un lavoro decisamente fuori dal comune, che testimonia palesemente dell’implosione
di un cuore tutto italiano nella cassa toracica delle influenze sperimentali
straniere pilastro dei lavori precedenti: i Matia Bazar
incontrano il krautrock, Mogol azzanna alla gola Siouxsie
and the Banshees, Rettore si contorce sui rumori
sintetici dei New Order. È nell’intersezione
transnazionale tra suoni e liriche che, dunque, nascono i picchi di un album
rischioso e forse per questo sorprendente, coerente come unità olistica
ed efficace negli episodi isolati come la battistiana “Inverno
precoce”, “?Uma.no”, “Sottosopra”
(cantata da Bugo) e “Maria de Filippi (una vergine
tra i morti viventi)”, inno caustico alle nefandezze dei palinsesti
televisivi. Si viaggia bene, dunque, nelle dodici tracce di “Morte
a 33 giri”; si vaga, valigia alla mano, nella tradizione d’autore
di un’Italia il cui vissuto musicale accoglie, integra e spezza il
movimento “di genere” dell’album, a ritroso negli anni
ottanta americani e inglesi. In altre parole, un disco-manifesto per la
Snowdonia, una sintesi delle ambizioni che l’hanno resa un unicum
nella scena indie italiana Marina Pierri |