La musica dei Larsen Lombriki è un deserto incandescente, una strada polverosa, un’indefinibile inquietudine. Desolata e volatile frontiera musicale capace di interfacciare a primordiali istinti rockabilly toccate e fuga sintetiche, a feroci rigurgiti di chitarra vaghi corollari danzarecci, a ricordi swinganti postindustriali blues senza pedigree.
Un immaginario che spazia dalla follia dei primi Birthday Party con Honey e Stupid Rock ‘n’ Roll allo stillicidio formale del free jazz più destrutturato con Carry On Devoted Forced Laughs, dalle improvvisazioni minimali ed estemporanee di Polyplastic e Birdsong agli accenni psychopop di Kosuth Youth, dal Lou Reed in salsa garage con Time For Love all’elettronica sporca di Chissà. Nel gioco selvaggio delle citazioni meriterebbero un posto d’onore anche i Blues Explosion di Jon Spencer e i Morphine di Mark Sandman, non fosse altro perchè esponenti di quella scuola musicale - a cui i Larsen Lombriki dimostrano di aver studiato - che fa dell'estremizzazione dei generi un'assioma imprescindibile.
Il tutto nasce e muore nel giro di tre minuti, lasciando giusto il tempo di raccapezzarsi tra i suoni sconnessi che arrivano dalle casse. Una tendenza all’essenzialità ed alla frammentazione garantita dal ricorso ad una strumentazione minimale - chitarra, basso, sax, campionatore, batteria elettronica, tastiera - spesso ridotta all'osso.
Tra i rumori scabrosi e le ritmiche ipnotiche del disco si coglie però anche una certa cura formale, un mestiere che consente al gruppo di compenetrare i diversi stimoli e dar vita ad un suono claustrofobico e sotterraneo come pochi, tuttavia capace di rinnovarsi ed attrarre.
Che poi lasciarsi rapire dalla formula musicale dei Larsen Lombriki significhi cedere a schizofreniche eiaculazioni ed a scapestrati sussurri poco importa.

F.Z.