I Larsen Lombriki sono sei, ma il loro è un unico corpo sonoro. Viene da parlare di new wave "ossea" e ci si meraviglia che uno scheletro sonoro solido si regga sulle giunture naturalmente storte della no-wave di James Chance, appena coperta da qualche straccio della pelle cannibalizzata di Ian Curtis. Mettere il naso in "Free From Deceit Or Cunnings" - il secondo lavoro della band nata dalla culla scomoda dell'underground romano - vuol dire entrare nel cimitero dei fermenti newyorkesi (e non) della fine degli anni Settanta, danzando sulle lapidi dei Pere Ubu e dei Suicide ("Stupid Rock'n'Roll" e "Honey" valgano da esempio) seguendo obbedienti le figure paradossalmente classiche di una “danse macabre” come “Zalien”. Certo, non è detto che tutti si trovino a proprio agio nella decadenza della scena di cui evidentemente i Larsen si sono appropriati con sapienza e devozione, da perfetti allievi e seguaci: si tratta di una scena asfissiante per natura, dalla quale e nella quale non si può pretendere di essere rassicurati o coccolati. Così, il "we're gonna rock around the clock tonight" di “Bleeding Man”, citazione masticata fino alla poltiglia del sassofono stonato che è chiara marca di genere o la cadenza quasi-Clash di "Time For Love" hanno tutta l'aria di essere canzoni d’amore dirette a un altro tempo e ad un altro luogo. Un altrove poco accessibile per antonomasia, fatto di incubi sintetici da scoprire e ri-scoprire e da cui, premesso che lo si voglia, farsi rapire.

Marina Pierri