Percorrere strade già tracciate, calme e rettilinee distese d'asfalto sonoro, è certamente semplice e quanto mai allettante. D'altronde l'orecchio dell'ascoltatore aduso a radio FM, addomesticato da pareggi temporali e armonizzazioni melodiche a dir poco cicliche, più volentieri si sofferma se coglie ricordi, rimandi, parole e note semplificate, più che altro codificate. I Larsen Lombrichi, di tutto questo, inutile negarlo, se ne fregano amabilmente. Demenziali wave-garage-rockers da cocktail party, estremizzatori delle dinamiche nulle, perseguono incoerentemente la strada del “fai da te”, miscelando vecchie drum machine, synth analogici da supermarket, generi, sottogeneri e categorie dimenticate. Analizzare a fondo un disco come “free from deceit or cunnings” è complesso e quanto mai inutile. I Larsen spingono i nervi dell'ascoltatore al limite, solleticandone per brevi istanti l'udito con citazioni lapalissiane e susseguenti, iperdilatate, distrofie armoniche. Dove vogliano arrivare, cosa stiano cercando, lo sa soltanto qualche disperata, prigioniera, schizofrenica musa. Certo è che la mesmerizzazione attende ad ogni angolo l'ascoltatore disattento e di generazione soporifera. Potevano osare forse di più, sperimentando davvero, scavando un po' più a fondo e delimitando strade meno dilatate. Una diversità a volte troppo ostentata ma mai portata al limite entropico. Troppo noise velato di noia e ballate paranoiche. Sfibrato nonsense, quasi accettabile credo, ma mai davvero “diverso”, mai davvero cacofonico o realmente al di là. A volte costruirsi da soli i percorsi premette anche possedere adeguati strumenti. Sinceramente: potrei nuovamente dire che si poteva fare di più che perdersi in questo caos-non-caos, ma mi chiedo anche, un po' timoroso, dove possa portare in questi casi il “di più”. Una cosa è certa: alla fine di larsen non ve n'è poi tanto, ma certamente, da qualche parte, tra i solchi, si colgono distintamente i lombrichi. Nicola - Jeriko.san - Mura |