Qualcosa cade a terra. Il rumore sordo si trasforma in una sorta di aura fatta di suoni ampi ed ipnotici, dal ritmo regolare. Si sente scorrere dell'acqua. Improvvisamente compaiono due voci. Due persone che parlano senza aprire bocca, semplicemente emettendo mugugni indistinti. Pare che si capiscano. Inizia un susseguirsi continuo di percussioni che assomigliano a campane in scala ridotta ma che campane non sono. Qualcuno parla di nuovo. Tutto va in riverbero e sparisce. Suona così la prima delle nove tracce che compongono il nuovo disco di Fausto Balbo, intitolato semplicemente Falbo. Voci distorte squarciano silenzi sconvolgenti ed inquieti, disturbi radiofonici si mescolano ad urla selvagge, trilli anarchici di telefoni e sveglie digitali si fondono a effetti laser rubati alle arcades anni ottanta. Nulla è scontato, nulla è rassicurante. L'autore mescola con la naïvetè di un bambino campionamenti tratti da pellicole cinematografiche e suoni scomposti, ritagli di pop culture e parabole infantili sconclusionate, leggerezze oniriche e rumori che ricordano il trapano del dentista. E lo fa fregandosene allegramente di dare al materiale anche un minimo di estetica riconducibile alla struttura - canzone, esaltando anzi il più possibile il lavoro di taglia e cuci alla base del progetto. Non esiste ritmica che indirizzi le dilatate riflessioni in forma di suite che compongono il lavoro, se non quella determinata dal succedersi dei suoni. Nessuna chitarra, almeno in senso convenzionale; qualche sintetizzatore, delle tastiere, suoni prodotti da strumentazione priva di brevetto. Il risultato finale si configura come un assalto nei confronti dell' ascoltatore, terrificante ma entusiasmante al tempo stesso, frutto di una fantasia coraggiosa e libera da schemi. Potremmo parlare di questo cd in termini di colonna sonora o musica strumentale d'ambiente ma in entrambi i casi non gli renderemmo giustizia, perché è molto di più. Falbo è gioco, sperimentazione, voglia di evadere, musica visiva. Di gruppi adatti all'occasione ce ne sono già tanti, di Fausto Balbo uno soltanto. Fabrizio Zampighi |