Il suo disco d'esordio si
può considerare il prototipo della "pazza" Snowdonia. Col tempo è diventato un piccolo mito, una leggendina da carbonari. Succede (va!) spesso così; d'altronde la nascita di un mito è sempre insondabile. Come allora, anche questo Falbo è assolutamente non etichettabile: potremmo citare una certa elettronica "freak", povera, rifacendoci ai tempi eroici dell'analogico, ma sappiamo benissimo, o meglio i nostri sensi sanno benissimo che, pur calzante formalmente, il paragone non è plausibile. Qui l'incubo domestico di mille suoni gratuiti, quotidiani, sa troppo del sapore disilluso ed al contempo gravido di speranza, che caratterizza i nostri giorni così lisci. Qui non c'è nessun rito da officiare, nessun futuro alle porte, nessuna intensità in un presente che si faccia storia quotidiana di mutazioni epocali. Qui c'è solo l'ambivalenza crudele ed affascinante del nostro vissuto: capire tutto e vivere poco, la pena del gramo convivere con la certezza di essere cavie di un mutamento già iniziato ma di cui vedremo fatalmente pochi effetti. Dramma allora? No: vita, finalmente. Ecco F. Balbo, questo carneade geniale; è uno dei pochissimi che con i suoni ed i dischi riesce a rendere l'idea. Luciano Marcolin |