Falter Bramnk (all'anagrafe, Frank Lambert) rischia di essere considerato come uno dei migliori musicisti d'avanguardia del nuovo millennio; un rischio che spinge il compositore francese nel paradiso di chi, magari inconsapevolmente, si ritrova nel produrre un disco che un domani sarà ricordato per l'abnorme ingegnosità, per l'abnorme originalità espressiva. Con un prezioso passato alle spalle, Falter Bramnk firma la sua quarta (la seconda in casa Snowdonia) fatica discografica, la sua quarta meraviglia, Soundtracks Stories. Giochi, improvvisazioni e virtuosismi elettronici che ingabbiano le vecchie pellicole cinematografiche (da Fellini a Pasolini, da Egoyan a Kubrick) che hanno forato il cuore del polistrumentista francese che impasta e modella i frammenti dialogici scritti e voluti dai vari registi precedentemente citati. Quello di Falter Bramnk è un progetto difficile, contorto e, al tempo stesso, coraggioso; Soundtracks Stories è free-rock, è rock improvvisato, è il rock che girava nelle menti bislacche di Holger Czukay (Can, Soundtracks - 1970) e di John Zorn; quello di Falter Bramnk è un rock che abbraccia brevi, illogici, perfetti, lamenti aciduli gestiti e curati dal sax schizofrenico di Laurent Rigaut (Noir c'est noir), un rock che spezza gli schemi stilistici di un genere, oramai, fin troppo ampio. Comode, scomode, etichette musicali che non reggono la maestria incontrastata di Falter Bramnk. Falter Bramnk è un genio, un genio che oggi ripesca le proprie emozioni cinematografiche, le cuce, le capovolge, le manipola; Falter Bramnk è uno sperimentatore che gioca con le proprie emozioni, un musicista d'avanguardia capace di convogliare, nei migliori dei modi, il proprio lato sperimentale. Falter Bramnk è un arrangiatore che un domani, molto probabilmente, ci lascerà nuovamente esterrefatti dinanzi alla sua devastante genialità. Incomprensibile, immenso. (9/10) Francesco Diodati |