Non sono nuovi a titoli dadaisti, i cesenati Aidoru. Dal debutto di “Cinque Pezzi Per Gruppo Con Titolo” a questo fuorviante “13 Piccoli Singoli Radiofonici”, gli Aidoru si divertono a spiazzare le aspettative del pubblico. Chi acquistasse questo disco convinto di trovare carne da playlist, motivetti facili e ritornelli canonici avrebbe di che restare attonito: pochi istanti dei 51 minuti e 6 secondi di questo disco sarebbero “passabili” per radio. E questo non depone a favore della qualità media delle emittenti radio del nostro paese, ça va sans dire, ma ci permettere di comprendere pienamente lo spirito di questo gruppo che costruisce canzoni come fossero piccoli marchingegni sonori, dotati di un’anima elettronica e di meccaniche lente ed esatte, come nella essenziale seconda traccia, Nothing Infinity Reality , una delle poche creazioni che, in un mondo non già perfetto ma appena più umano di quello che ci tocca di abitare, per radio ci passerebbe davvero. Le atmosfere del pezzo sono vicine a quelle degli ultimi Blonde Redhead, ma con più disincanto. Dopo una poesia recitata dall’autrice dei testi Mariangela Gualtieri, (Io Guardo Spesso Il Cielo) giunge la prima autentica sorpresa del disco: una suite aperta da una microcanzone di 32 secondi eppure perfettamente compiuta, Giorni , che disegna con gelido distacco una piccola parabola di noia quotidiana (“Soffro per molto poco/ ma nei giorni stabiliti. Poi dormo”). Nell’immediato procedere del disco ci si imbatte in una furente risposta al brano precedente: Se Dormi esplode, dopo due minuti, come un risveglio frenetico dopo un sonno disturbato. Ma poi il torpore torna a impossessarsi della mente e delle Ossicine, fino a dare corpo, nel dormiveglia apparente, a figure da incubo che funestano la fine della mini-suite. Tra i gioielli del disco spicca Parole Porte Parole Ali , impreziosita dall’arrangiamento vocale di John De Leo (Quintorigo) che trasforma la sua voce nel controcanto di un androide e nel finale del brano pare di assistere a un evento prodigioso: le parole stesse si staccano dal foglio su cui sono state scritte per animarsi e fluttuare dinanzi all’attonito ascoltatore. Nel disco c’è anche una cover, imbevuta del surrealismo che caratterizza tutto il disco: Preludio op.28 n°2 è una distorta e marziale rilettura di Chopin che scivola nella disperata Fas 3 bis in cui la voce di Mariangela si contorce, maledice e alla fine sputa fuori il demone che la possiede. Il finale è affidato al jazz destrutturato di Se La Parola Amore . Dopo un ascolto intero di questo disco sentirete urgente il bisogno di accendere la radio, per una piccola necessaria dose di leggerezza. E, potete starne certi, non correrete il rischio di imbattervi negli Aidoru. (7)

Dado Minervini