La collaborazione triennale con il Teatro Valdoca, compagnia di punta della scena teatrale di ricerca italiana, sembra aver esortato i cesenati Aidoru ad ampliare gli orizzonti musicali in direzione di una fusione tra melodia e immaginario scenico. Il sound si è fatto complesso, marchiandosi di sapori progressive, echi jazz-rock, candori pop e trasalimenti sperimentali. Art-rock è forse il termine più appropriato per sintetizzare questa miscela di stili e di generi, dove, sia detto per inciso, è comunque la matrice pop a dominare e spesso a fagocitare tutto il resto. Un pop che sa di incanto, nonostante venga continuamente sventrato, messo a nudo, costretto a rivelarsi alieno e inafferrabile. Proteso verso una sperimentazione che sa unire passato e presente, lasciando che i brani si sfilaccino sempre e comunque in granuli di sogno, in polvere fiabesca. Un espressionismo sonico che in "90 (la paura)" solca impetuose onde post-rock, tra annuvolamenti sintetici e drumming marchiato a fuoco da incendi math.
L'emotività di questa musica sfiora immediatamente il cuore nel vortice pop-edelico di "Nothing Infinity Reality" e si raccoglie tra i versi di "Io Guardo Spesso Il Cielo", la cui semplicità estatica si fraziona tra il brevissimo accenno di ballata dimessa di "Giorni" e la deriva progressiva di "Se Dormi". Il passaggio a "Ossicine" è gravido di tensione: la carica drammatizzante muove da sospensioni classicheggianti e dilaniazioni improvvise, in cui il furibondo tremolio del piano rimanda alle migliori prove dei Birdsong Of The Mesozoic. E' probabilmente questo il momento in cui l'esperienza teatrale degli Aidoru si polarizza attorno a un nucleo definito in ogni minima parte, lasciando l'impressione di un progressive-rock chiuso in un recinto di nevrosi e paranoie. Diverso è il caso, invece, dei Gentle Giant in chiave giullaresca di "Angelo-Gnomo", che s'inscrive nel quadro complessivo come un momento di puro divertissement e che si contrappone al lungo, tenebroso soul degradato in chiave trip-hop di "Parole Porte Parole Ali", in cui qualcuno potrebbe anche riconoscere una variante straniata dell'electro-pop dei Tiromancino.
Restando, in fondo, fedeli alle loro origini, in "Ni-roku" i quattro tornano a declinare punk, mentre si divertono a rifare Chopin nel "Preludio Op. 28 n° 2". La pacata dissertazione jazzy di "Fas 3 Bis" si trasforma in feroce delirio man mano che la voce dell'attrice e cantante Morena Tamborrino ne accentua il terribile pathos sotterraneo. Se i rintocchi pianistici e gli acquitrini chitarristici riflettono un gusto insistito per il descrittivismo romantico, i simulacri frantumati delle parole giocano a rischiarare visioni e stati d'animo che la musica trattiene nella sua claustrofobica apatia. La Canterbury del jazz-rock che ha fatto storia è lo scenario mitologico in cui si inscrive "Phase Difference", un momento di rassegnata delicatezza prima della personalissima rivisitazione del music-hall in "Se La Parola Amore". I 13 piccoli singoli degli Aidoru sono tutt'altro che radiofonici. Tuttavia, sono quanto di più avventuroso il rock italiano ci abbia offerto in questa prima metà del 2005.

Francesco Nunziata