Pare che gli Aidoru, in origine, avessero sembianze punk. Pare che oggi siano legati al Teatro Valdoca, attraverso rappresentazioni in cui poesia e sonorità si miscelano senza presunti limiti. Pare, infine, che Snowdonia li abbia braccati e rapiti, per liberarli solo dopo l'uscita di "13 piccoli singoli radiofonici".

Queste le informazioni che abbiamo sul gruppo romagnolo, il resto è musica. Tanta, contaminata, ostica, accessibile, volutamente differente. L'approccio è il solo filo conduttore: aperto, restio alla singola definizione, ma non alle infinite e possibili catalogazioni. Non esiste un località ne esistono milioni e con un pò d'impegno si riuscirà visitarle tutte. La partenza è a forma canzone intesa in sento lato, gli approdi sono concetti avant e post ("Phase-difference"), in cui l'elettronica può essere protagonista o comprimaria ("Parole porte parole ali" con John De Leo dei Quintorigo), così come la canzone d'autore surreale ("Se la parola amore") e la schizofrenia cerebralmente più d'impatto ("Fas 3 bis", con una splendida Morena Tamborrino in vaneggiamenti viscerali dopo una creativa sofferenza di pianoforte). Ed allora questo può apparire come un viaggio sperimentale, sintetico e suonato, in cui la ricerca, palese, riesce con straordinaria abilità mascherarsi di immediatezza fascinosa (la cover rockeggiante di "Preludio op.28 n.2" di Chopin).

Vista l'attitudine, non sorprende il legame col teatro ed il rapporto instauratosi con Snowdonia. Tuttavia la cosa che stupisce meno è il passato del gruppo: se parliamo di mentalità controcorrente e controforma, "13 piccoli singoli radiofonici" è  uno dei migliori album punk ascoltati negli ultimi mesi.

Marco Delsoldato