Aidoru” è il modo in cui i giapponesi pronunciano la parola inglese “Idol”. L’idolatria è un aspetto tipico della cultura rock, che si esplica sia nell’adorazione dei musicisti da parte dei fan, sia nella devozione degli artisti per determinati generi musicali o aspetti culturali. Tutto ciò non ha nulla a che fare con il quartetto autore di “13 piccoli singoli radiofonici”; del resto la contraddizione si coniuga perfettamente sia con l’approccio distorto e trasversale caratteristico delle produzioni Snowdonia, sia con l’indefinibile cifra stilistica della band che - usando un termine abusato ma efficace - potremmo senza dubbio definire eclettica.
Volendo per forza procedere per stereotipi, dovremmo altresì inquadrare gli Aidoru nel multiforme universo del post-rock; ma faremmo loro un grande torto, giacché la ricerca stilistica e strutturale operata da Mirko, Michele, Dario e Diego trascende ogni forma fissa e spazia con estrema disinvoltura dall’effettistica digitale e analogica alla più elettrica tradizione rock, citando Chopin e inventando atmosfere policrome d’ispirazione cinematografica. Si recupera così quel principio creativo votato alla sperimentazione a tutto campo, che ancor prima degli anni ’90 già informava le creazioni dei primi esponenti del progressive inglese. Personalità, padronanza tecnica e trasporto emotivo rendono dunque quest’album così intenso e genuino da fare onore alla scena indipendente italiana.

Fabio Massimo Arati