Inconcepibile. Ecco l'aggettivo che più si confà ad una proposta musicale che va ben oltre il rock e ben al di là dell'infatuazione per la musica popolare. I Transgender operano una mistificazione semantica di qualsiasi linguaggio: creare ex novo significanti e significati coniando una vera e propria lingua, con i suoi lemmi e la sua sintassi, non è da tutti. Efficace fuga dalla realtà, ma allo stesso tempo stimolante sfida lanciata all'ascoltatore, grazie all'ottima idea di allegare una traccia cd rom con tanto di trascrizioni e traduzioni. Sembra tanto dedicato al fruitore di musica medio che troppo spesso si lascia andare alle melodie ignorando completamente ciò di cui si parla. Non che i testi di Lorenzo Esposito - autore di buona parte delle liriche - e soci abbiano una valenza metafisica, tutt'altro: narrano il fiabesco e l'allegoria, giocano con il grottesco fino sfociare nel parossismo catartico di un Giovanni Lindo Ferretti che fa una fugace apparizione nel breve intermezzo "Mantra".
La band emiliana ha una personalità multipla e sfaccettata che si rispecchia anche in un atteggiamento musicale fuori dal comune: tentacolare approccio che si nutre di scorie e residui post rock (maggiormente evidenti in pezzi come Dre Oucantelva e Spoony Geeza, forte di un'emozionante coda elettrica la prima, più contenuta e pacatamente "intellettuale" la seconda), di umori jazz (Dre Fuè) e di saltuarie digressioni math (Mavra, A Crime Memoir) e, per finire, di sferzate di un rock memore di barocchi "crossover" sonici (echi sfocati delle follie di Faith No More e Mr. Bungle) a praticare squarci in magici tappeti ritmici gitano-balcanici (Craud, Multis).
Non è da tutti osare così tanto e riuscire così bene nell'impresa di voler a tutti i costi creare qualcosa di veramente nuovo. Troppo spesso simili tentativi finiscono stroncati da insipido manierismo o irretiti nella morsa di una tensione avanguardista fine a se stessa, ma non è il caso dei Transgender. Provare per credere.

Filippo Boccarossa