A ben otto anni di distanza dalla pubblicazione del loro ultimo disco, i Le Masque tornano con un ottimo album, che li riporta ai livelli raggiunti con le produzioni più riuscite, quali “Il Signor Gustavo Coscienza” (1990) e “La Memoria di Venere” (1991). È, ancora una volta, un disco strano, impossibile da catalogare, forse destinato - purtroppo - all'isolamento. A cavallo tra concept album, brevi reading di ispirazione teatrale, ci sono belle canzoni in cui fanno capolino suoni e dettagli deliziosamente “vintage”, “Gli Anni di Globiana” affronta il tema del cambiamento della donna che, a partire dalla fine degli anni'60, cessa di essere “compagna di sempre, materna e rassicurante” per diventare “dea della vanità, portatrice di una sensualità aggressiva”. Senza entrare nel merito della prospettiva, che sembra perlomeno discutibile, questo è, a modo suo, un disco fortemente politico (l'evoluzione del ruolo della donna sembra metafora dell'avvento del consumismo), in cui spiccano comunque splendide canzoni sulla solitudine, l'assenza e la distanza, come Ombra di nuvola, Ala bianca, L'amabile assenza e la bellissima versione di Ne Me Quitte Pas. “Ce ne frega assai della modernità”, canta Cellerino. Da un certo punto di vista, forse, ha ragione pure lui: i Le Masque sono maledettamente inattuali, e in questo sta il loro fascino, in questo la loro condanna. Andrea Rossi |