La storia dei milanesi Le Masque è una banale storia di musica di qualità dei giorni nostri. Nato nel 1979, fin dagli esordi il gruppo dimostra grande valore e originalità, grazie alla scrittura letteraria e crepuscolare dei testi del cantante Edgardo Moia Cellerino, associata alle capacità musicali di un ensemble assai raffinato, che disegna una strana interpretazione della canzone d'autore, tra atmosfere gotiche, ispirazioni classicheggianti, spunti leggermente jazzati, ricordi francesi.

A ben otto anni di distanza dalla pubblicazione del loro ultimo disco, i Le Masque tornano con un ottimo album, che li riporta ai livelli raggiunti con le produzioni più riuscite, quali “Il Signor Gustavo Coscienza” (1990) e “La Memoria di Venere” (1991). È, ancora una volta, un disco strano, impossibile da catalogare, forse destinato - purtroppo - all'isolamento.

A cavallo tra concept album, brevi reading di ispirazione teatrale, ci sono belle canzoni in cui fanno capolino suoni e dettagli deliziosamente “vintage”,  “Gli Anni di Globiana” affronta il tema del cambiamento della donna che, a partire dalla fine degli anni'60, cessa di essere “compagna di sempre, materna e rassicurante” per diventare “dea della vanità, portatrice di una sensualità aggressiva”.

Senza entrare nel merito della prospettiva, che sembra perlomeno discutibile, questo è, a modo suo,  un disco fortemente politico (l'evoluzione del ruolo della donna sembra metafora dell'avvento del consumismo), in cui spiccano comunque splendide canzoni sulla solitudine, l'assenza e la distanza, come Ombra di nuvola, Ala bianca, L'amabile assenza e la bellissima versione di Ne Me Quitte Pas. “Ce ne frega assai della modernità”, canta Cellerino. Da un certo punto di vista, forse, ha ragione pure lui: i Le Masque sono maledettamente inattuali, e in questo sta il loro fascino, in questo la loro condanna.

Andrea Rossi