La prima volta che sulle nostre
pagine si è scritto del cd in questione, che all'epoca doveva ancora
essere inciso, è stato addirittura nel Luglio del 1999: in un'intervista
organizzata qualche mese dopo l'uscita della loro antologia Dal diario
di un soffiatore di vetro, i Le Masque parlavano de Gli anni
di Globiana come di "una dedica, un omaggio all'unico
reale mutamento politico avvenuto in questo nostro paese: l'affermazione
della donna, intesa non soltanto al livello sociale o come inserimento nel
mondo del lavoro. La forza femminile deve pervadere con la sua bellezza
il pensiero moderno per proteggere con il proprio corpo l'antico sguardo
delle nostre passioni". Di tempo ne è passato parecchio,
ma alla fine il compact è oggi in vendita: non autoprodotto, come
da programma originario, ma marchiato da quella Snowdonia (distribuzione
Audioglobe) che merita senza dubbio un posto d'onore fra le etichette più
eclettiche e creative dell'affollato panorama nazionale. A seguire di otto
anni l'album omonimo edito dalla No Way/Sony, terzo di una serie già
comprendente Il signor Gustavo Coscienza (Target/Emi, 1990)
e La memoria di Venere (Target/Cgd, 1991), il longevo ensemble
milanese - i suoi primi passi risalgono agli ultimi '70 - è dunque
tornato a proporre un disco interamente nuovo, legato come sempre agli stilemi
di una canzone d'autore soffice, avvolgente e raffinata nelle sue atmosfere
debitrici al jazz e alla musica da camera, che ha poco da spartire con il
rock e che ha nella voce confidenziale - ma ricca di enfasi interpretativa
- del deus ex machina Edgardo Moia Cellerino uno degli elementi più
caratteristici. Un disco, come si diceva, a tema, dedicato all'universo
femminile (o, meglio, a una sua interpretazione più o meno condivisibile),
la cui concettualità è rimarcata dagli intermezzi recitati
o altro che affiorano qua e là in una scaletta che contiene dieci
canzoni propriamente dette, tra le quali due strumentali e l'adattamento
italiano - con liriche di Gino Paoli - di Ne me quitte pas di
Jacques Brel. In un continuo rimando al passato, e più nello
specifico all'immaginario del miglior "pop" italiano dei '60 (ma
il "bitt" non c'entra nulla: pensate a Bruno Martino, a
Umberto Bindi, a Luigi Tenco, a Sergio Endrigo, a tratti
anche al primo De Andrè), i Le Masque legano assieme ritmiche
leggere e aggraziati intrecci di chitarre, piano, violino e fiati, con il
cantante che asseconda i toni malinconici e sognanti delle composizioni
o pone in risalto le proprie doti istrioniche con performance volte a sottolineare
- sempre sulla base dell'approccio "citazionista" cui si accennava
poc'anzi - quanto raccontato nelle parole, ricercate e poetiche come il
genere impone. Un'area stilistica, insomma, limitrofa a quella nella quale
si muovono i ben più noti La Crus, seppur con trame
elettroacustiche e non elettroniche; e senza dimenticare, visto come le
accuse di plagio - tanto più ingiustificate - non facciano mai piacere,
che l'ensemble sperimenta queste sonorità da molto tempo prima della
coppia Giovanardi/Malfatti, sebbene la sua popolarità sia
finora stata circoscritta a un ambito di culto. Un bell'album, Gli anni
di Globina. Piacerà ai nostalgici dei Sixties italiani
più "estetici" e "cinematografici", ma possiede
anche ciò che occorre per impressionare favorevolmente quanti sono
intrigati da quel loro immaginario di sensibilità, morbidezza e naiveté
cui peraltro non manca un retrogusto di inquietudine. Federico Guglielmi |