Che
un gruppo provenga da Milano ultimamente è diventata una credenziale negativa,
nomi storici a parte. Ma gli Egokid costituiscono una più che felice eccezione
a simile disgraziata regola. "The egotrip of the Egokid",
ottimo cd appena dato alle stampe da Snowdonia, inserisce il quintetto meneghino
nel filone psichedelico recentemente riportato alla patria ribalta da quei
geniacci dei Jennifer Gentle. Non somigliando per nulla ai padovani
e al loro raggiante incubo da Summer of love del 1967, gli Egokid
danno della psichedelia una versione più spensierata, gioiosa e cantabile,
riuscendo a non rinunciare mai alla ricerca sonora. Confezionano così un
piccolo bijou sonoro la cui unica pecca, viste le potenzialità anche commerciali
di alcuni brani, sta proprio nella scelta dell'inglese per i testi. Il cd
è un caleidoscopio (giochino quanto mai psichedelico, of course...) sonoro
che mischia festosamente le più disparate influenze, usate come autentici
materiali da costruzione nell'edificazione di una propria originale personalità.
Così, se il brano d'apertura Hetro retro homo superior gioca nel
titolo con il fantasma del ritornello di "Oh you, pretty things"
di David Bowie ("Gotta make way for the homo superior"),
il viaggio caleidoscopico negli ultimi 40 anni di musica pop rivissuti psichedelicamente
prosegue guidato dalle voci di Piergiorgio Pardo (che rimanda nel timbro
e nello stile a Jarvis Cocker) e di Diego Palazzo (che fa riecheggiare
Robert Smith). Frullano, come ali di rondini nel cielo di
primavera, accenti lounge (Belagente), qualche schitarrata alla maniera
quasi delle Hole e di tutto un certo indie rock statunitense dei
90 subito s/travolta dalla psichedelia (Burdizzo bloodless castrator),
rilassate bossanova psycho-futuriste, che sembrano quasi l'attuazione delle
dichiarazioni d'intenti (e nulla più) dei fiorentini S.h.a.d.o.
(Any 1000 creatures), attacchi vocali quasi rockabilly e distensioni
strumentali che ricordano il sound dei primi due album dei Roxy Music
(Kamomilla-w), atmosfere che potrebbero essere di Bjork e
che diventano alla Radiohead (Grey). E poi, sparse qua e là,
schegge di Loop, My BloodyValentine, Spacemen 3, Spiritualized,
Spectrum.
Gran bel disco, in definitiva, che cresce ascolto dopo ascolto, e mostra
una band con una personalità già formata costruita postmodernamente su materiali
altri. Burdizzo bloodless castrator, dalla bellissima linea melodica,
potrebbe essere un gran singolone per le radio. Se non fosse in inglese.
Perché tanto accanimento autocastratorio?
Renzo Stefanel |