Un'elettronica di stampo tribale?
Potrebbe far venire in mente la jungle ma è tutt'altro. Un disco
registrato 12 anni fa, che vede la luce ora. La traccia di apertura di questo Infanzia di M. dal titolo Sette casse d'ossa suona come gli Eels senza E, con solo Butch a tener su la baracca. Ritmi veri e sintetici, improvvisi inserti orchestrali in lontananza e frequenze fuori fase. La seguente Nostalgia (con acqua) mi ricorda un pò certi brani-esempio dei dischi dei maestri di flauto traverso... e il limite con certa new-age da libreria Demetra non è poi lontano, anche se una voce da orco e certe interruzioni da pianista ubriaco riportano tutto a Snowdonia. L'atmosfera sarà poi ripresa anche da Il plusvalore e l'assoluto arrivando a toccare elementi da soundtrack asfissiante e scura. La ritmica di Officine Lombardoni mi fa tornare alla mente i Duran Duran ripuliti di certi lustrini da classifica e anche della maggior parte degli strumenti, esclusion fatta per la batteria elettronica, agitata e accelerata fino a farsi noise. La ritmica è elemento fondamentale del lavoro delle Forbici di Manitù. Massimo Pavarini è un grande compositore ritmico, che sa alternare momenti incalzanti ad altri rallentati, momenti sintetici a tamburelli e gingilli. E si direbbe anche un musicologo esperto, visto il ripescaggio di Tedesca "L'Austria" di Marco Facoli, da Il secondo libro d'Intavolatura, 1588 per Sol Proficuo, che diventa un'esibizione da bardo scoordinato). Ingerito dai genitori è un'altro esercizio di ritmica meticolosa, a metà tra lo stile industriale dei Nine Inch Nails e le ritmiche caraibiche sintetiche di Sandy Marton. Anche in questo caso il flauto va a costruire una melodia a tratti angosciante, che però non molla l'ascolto. Forse le cose più vicine allo stile delle Forbici di Manitù sono la colonna sonora delle 12 fatiche di Asterix o certi rumorismi della serie a puntate della Pantera Rosa, cose giocate su strani livelli di psichedelia che non appartengono a Pink Floyd e Doors, nè alla generazione delle droghe, ma piuttosto ai sogni incomprensibili della gente comune. Campane inquietanti in Zero complimenti. Poi campanellini riverberati. Stranezze. Silenzi. Ancora campanelli e rumori di cose che cadono. Badalamenti non avrebbe fatto di meglio. A chiudere, i 18 minuti di Infanzia, come più o meno tutti. Qualche colpetto di piano, un lungo suono di sottofondo, ad attendere chissà che mostri. Il babau da sotto il letto, magari (ce l'avevano, appunto, più o meno tutti). Poi, col tempo, l'atmosfera si rilassa. Ancora reminescenze anni 80, ma più jazzate, Stevie Wonder apprezzerebbe. Solitudine, alla fine. Rumori, ancora. Attenzione a questo disco, ascoltate ogni singolo colpetto di sintetizzatore, ogni rumore, ogni beat. Potreste trovarlo piacevole. Ales Mattiuzzo |