Rarefazione, rari echi di
mondo reale, progressivo e inesorabile allontanamento da ciò che,
a forza o a ragione, si può ricondurre al nome del rock, sia esso
post o prog: "Zero" è l'apice di un processo sonoro
iniziato sulle ceneri dei Der Tod (e già avvertibile negli
ultimi passi della "signora tod" prima del dissolvimento)
e passato attraverso demo e sperimentazioni, in un crescendo di ricerca
ed un annichilimento di volontà espressive propositive. Il mondo
di "Zero" è molto più di un viaggio ispirato
da "L'isola Di Cemento" di Ballard, è un
percorso che inizia lasciandosi alle spalle il mondo, i cui echi, dall'esclamazione
iniziale in dialetto alla rapida scheggia di telecronaca sportiva, impallidiscono
fino a svanire, I grandi plateaux su cui si muovono impercettibili ma febbrili,
i microsuoni, o meglio le microalterazioni di frequenza sonora che scandiscono
le iterazioni di "Zero", hanno la stessa apparente immobilità
degli assolati squarci innaturali dell'autore di The Atrocity Exhibition,
la stessa quiete sospesa dietro a cui si nasconde l'inarrestabile processo,
di follia, morte o decomposizione, che dilaga disperatamente nel mondo civilmente
brulicante di Ballard. Dieci le tracce di "Zero", una
contemplativa ambient music attraversata, come veloci nuvole sul sole, da
inquieti crescendo, deboli dissonanze o mantriche e ballonzolanti cellule
minimali antimelodiche. Negazione del climax, appiattimento parossistico,
negazione di un centro, di un cuore o di un senso, "Zero"
è rizomatico nel senso di un continuo altrove presso cui stanno,
o almeno dovrebbero stare, i valori di un'espressione ormai inapplicabile. Andrea Dani |