Chiamano dalla copertina,
squadra di calcio che mostra crudelmente i visi italiesi circa fine settanta,
enormi righe e riporti, baffoni, figurine che nessuno scambierebbe. Pambianchi,
Rodolfo, Lillo, Gago, Scarpetti, Massimo, Freddy, Mariangela; scendono in
cortile i Faccioni in circoli reichiani, ma non epopee di treni lanciati
a vapore, sono codardie rese nuvole, che dall'est Europa hanno preso quella
drammatica specie di carica a molla. Puttaneggiare un tango, rendersi
disponibili alla strage del senso. Ho trovato schegge di lamiera
/ tra i miei capelli questa sera, dice Serpico, barrito di balena
e poi, adagiandosi sul piano, sei come un bambino, peggio di un bambino.
Tabone ha un'elevata svogliatezza (Garbo?), e La
vicina, che si è uccisa una domenica nebulizzata, soffice come
ricottina, sembra accennare a progressioni, ma si deforma solo. Faccione
forse ancora acerbe, suono da Enfante Rouge con le sue debolezze e quel
buco nei bassi, eppure... In coda, sorta di terremoto brulicante di voci
ultraterrene con pomo finale aperto tra sibili e toppe, uno racconta di
come in marina ha sbattuto contro il letto e da allora non gli tira, però
ha ricevuto una medaglia. (7) Francesco Vignotto |