Che le porte della kosmische
Muzik non fossero su in Germania, lo avevamo còlto
per tempo. Ma che passassero tra Mandrio e Rivalta, come ultima frontiera
meridiana, ecco questo ci ha sorpreso, e non poco. "È arrivata
ta geometria!" sembrano annunciare, appoggiati al cielo in calzoni
di nuvole, i due uomini-suono reggiani. Come infatti lascia presagire l'italico
nome, Duozero, è una coppia di giovani strefisti, abitanti beffardi
di questa Grullopoli padana, intenti a padroneggiare, da giovani alchimisti,
la matassa elettronica. Né chemicalisti né junglisti, va subito detto, i DZ si acquietano subitanei alla galassia del "titanismo nano" howiebizzante: dove l'howiebismo è la malattia infantile dell'elettronica, il cui untore superbo è Howie b. Lasciando da parte le genealogie più o meno araldiche, passiamo a introdurre il bel progetto e divagando ulteriormente sulla poetica visionaria della coppia, avvertiamo, gli oplites della posta che qui non troveranno gli überritmus tanto cari alla folla maffiosa e neppure le tracce a due passi della ritmatica albionica più moderna. Che la "hardcore brigade" si astenga dunque, pena la barba assira. Duozero si ciba di strati e polvere: lascia sedimentare multistrati elettronici nelle "ziqqurat" ùraniche perse nel firmamento astrale più lontano. È nel pneuma, nello scavo della psiche, che si rivela la grandezza del progetto. All'opera troviamo sia fonovaligie marziane, di cui il torrido patafisico Jarry sarebbe andato fiero, sia farfalle fonetiche da microcinema zavattiniano, oppure metallofoni da solai lanciati nelle volte siderali dell'universo. Sembra di intuire che questi cosmico-futuristi, persi nelle astralità più guizzanti, non perdano mai di vista l'ironia. E questa è buona cosa. Per loro, sacerdoti del numero ingabbiati nella meccanica celeste, è come se il mardi gras latteo non dovesse finire mai... così sospesi, tra istrionici carnevali lunari e desiderio di immanenza, i DZ si abbandonano a notevoli dilatazioni cosmico-psichedeliche, piccole apokalipsis sonore alla deriva delle profondità stellari... Tra campionamenti colti e befane di pietra, colazioni al bar dell'orchestra del pinguino e gorillini di peluche con tamburino meccanico, la coppia di arditi ci sorprende con l'iniziale "N.F.A.”, una marcetta anguillare con trombone lacustre da quinto anello giuppiteriano e con "Deep”, liquido càbinetto acustico, tra drummate ariose e bei tappetini tastieristici da mamelucchi di Bagdad. Avete capito da queste fòle, che i Duozero sono da ascolti plurimi e variegati e a forza di droni magici, algoritmie bislacche, tundre sampledeliche fantasiose e beffarde, quasi quasi ci scappa un piccolo capolavoro da Eden Elettronico. Tra le slitte sonore che ci portano in "Piano Modificato" e il bozzetto girevole a spirale, notevolissimo di "Onda Perpetua”, i Duozero vanno premiati con il nostro encomio. Dalla generazione del Breakbeat saranno ricordati come "inquilini cosmici" in moto perpetuo, immersi nell'orecchio filmico dei Pianeti, dove il loro suono-polline si ferma stremato, dopo tanto sfaldarsi nei crepuscoli spaziali. Si, saranno ricordati così, come gracili fanciulli elettronici, i Duozero, dolci strateghi stellari e astromusici inquieti, che vagano nelle profondità impensabili su brandelli di suono strappati alla fantasia. Federico Ghiaia |