Allun et sise, nulla esiste probabilmente dietro le quindici tracce squinternate che compongono l'album d'esordio di queste quattro fanciulle di Vigevano con la passione per i Residents e per gli anagrammi. Nulla esiste almeno a livello di significato, perchè in quanto a estetica, creatività e pathos, ce n'è di che insegnare a tanti pretenziosi musicisti classici. No wave, certo, come altro si potrebbe non definire la musica di queste non musiciste? Esemplare in questo senso è la traccia d'apertura, "Manichini", nella quale i suoni più improbabili si sovrappongono apparentemente senza logica, mentre una voce psicotica e un organo fatuo creano un clima da thriller di notevole effetto.
I riferimenti e le soluzioni adottate durante lo svolgimento di tutto il disco sono alquanto varie e sfaccettate. Si va dai vocalizzi da soprano con contrappunto di frullatore in "Rennipinim", al flauto preso in prestito dai primi Royal Trux di "Nwolc", alla pura lezione residentsiana di "Eigub", alle rivisitazioni dei Mars in "Miele". Gli episodi maggiori sono "Erapocs" con chitarre giapponesi e un testo completamente letto al contrario che trasportano l'ascoltatore in una dimensione esotico-orientale e la ghost track finale, una infantile e stral(l)unata jam session dove si incontrano un organetto alla Quintron, uno xilofono (o quello che è), il solito flauto, vocalizzi da bambina ritardata, pezzi di batteria, fischietti e chitarre suonate nei registri più irritanti. Completano l'opera quattro frammenti minuscoli per lo più assordanti alla maniera del grindcore di cui non ci è dato sapere il nome visto che sul booklet, in corrispondenza del numero della traccia, ci sono dei disegnini stilizzati.
Bisognerebbe costringere tutti i patiti di fusion ad ascoltare questo disco per insegnar loro come si fa a creare emozioni in musica e stupire veramente l'ascoltatore.

Massimiliano Osini