1] Il nome di Vittore Baroni è una leggenda tra gli
appassionati di musica anni ’80 e nell’ambito della critica musicale; si
dice che tu abbia ascoltato più new wave di chiunque altro in Italia.
Credi sia vero? Giusto per dare un’idea della portata, parlaci del tuo
percorso musicale e della tua collezione di
dischi!
Vittore : Beh, mi spiace
deluderti, ma quel che dici mi pare quasi frutto di una delle solite
“leggende metropolitane”. Tanto per cominciare, non credo di aver
ascoltato molti più dischi di un normale appassionato di rock (ho smesso
di contarli da decenni, ma quanti saranno mai? diecimila? quindicimila?
boh? conosco comunque gente che ne ha dieci volte tanti). La new wave in
senso stretto non è mai stato il mio campo di indagine privilegiato, mi
sono sempre occupato di sperimentazione e suoni bizzarri, quindi solo di
alcuni degli artisti che più o meno impropriamente sono stati fatti
confluire all’epoca nel calderone new wave (come Residents, Devo,
Throbbing Gristle, ecc.), o fuoriclasse come Joy Division e Tuxedomoon.
Se mi devo ritenere uno specialista, lo sono piuttosto della cosiddetta
musica industriale (e poi esoterica e altri suoi derivati). Della new
wave mi sono tra l’altro sempre stati in uggia molti personaggi iconici
ma a mio avviso sopravvalutati (Siouxie, Cure, Killing Joke, ecc.). La
“no wave” si avvicina di più ai miei gusti, ma quella originale di No
New York, non quella dei revivalismi recenti.
Il mio percorso
musicale è iniziato intorno ai dieci anni quando, folgorato da qualcosa
che avevo visto o sentito, mi sono fatto prestare da mia cugina i suoi
dischi di Beatles e Rolling Stones. Ho collaborato con alcune rivistine
sotterranee dai primi ’70, quand’ero giovanissimo, mi pare di aver
cominciato su Carta Stampata, un oscuro foglio prodotto a La Spezia, con
articoli su Faust, Incredible String Band, Hawkwind, quel tipo di cose
lì. Un decennio dopo ho aiutato un amico che faceva uscire una fanzine
chiamata RockZero, hanno notato qualche mio scritto e mi hanno
contattato dalla redazione di Rockerilla. Ho poi sempre continuato a
dividermi tra riviste sotterranee (Vinile, Urlo, ecc.) e altre più
visibili (Velvet, Neural, Sonora), fino a Rumore e Pulp che è storia dei
nostri giorni. Non mi reputo un professionista del settore perché per
vivere ho sempre svolto lavori extra-musicali e, fatto molto poco
deontologico, mi sono sempre rifiutato di scrivere “su commissione” su
argomenti che non fossero di mio specifico interesse. Mi piace tenere il
coltello dalla parte del manico e poter dire la mia senza patemi
d’animo, in fondo ho conservato sempre lo spirito dell’appassionato
piuttosto che dell’addetto ai lavori. Ho usato pseudonimi come Mister
Bizarro e Zio Alvise, per divertimento o per poter scrivere su riviste
concorrenti!
2] Secondo te quali sono stati i gruppi più
sottovalutati tra i tuoi ascolti, e quali sono i tuoi dischi
preferiti?
Vittore : Ci sono alcuni artisti che per
vari motivi affettivi mi sono rimasti sempre cari, indipendentemente
dal fatto che fossero o meno popolari (per citarti i primi che mi
vengono in mente, Incredible String Band, Residents, Current 93, Beach
Boys, Bonzo Dog Band, Pearls Before Swine, Peter Hammill, Phil Ochs,
The Kinks, XTC, They Might Be Giants, Negativland, ecc. ecc.). Parecchi
di loro fan parte di quella categoria solitamente definita “cult legends”,
“outsider” e simili, ma direi che al punto in cui siamo oggi non esistono
più grandi artisti “sottovalutati”, sono stati tutti più o meno recuperati
dal lavoro critico e di scavo di riviste come Mojo o The Wire (in
settori diversi). Un sito web o un fan club/zine non lo si nega più
neppure al più misconosciuto pioniere. È il bello (o il brutto)
di aver superato la cinquantina. Intendo il linguaggio del rock: ormai
non è soltanto maggiorenne, è attempato, istituzionalizzato, sviscerato
in ogni suo aspetto. E poi c’è un mondo di suoni a portata di clic
e scaricabile in peer-to-peer. Una babele in cui perdere la testa,
ma anche ritrovare una vecchia canzone ascoltata nell’infanzia in
un jukebox e mai più sentita. Un mondo infinitamente migliore e infinitamente
peggiore di un tempo, con gente come B&B al potere, the killing
B’s...
3] In Italia ci furono dei veri pionieri in questo campo
musicale? O comunque dei gruppi che hanno avuto delle forti influenze,
magari poi distrattamente mai menzionate
altrove?
Vittore : Pionieri
influenti della new wave da noi non direi proprio, casomai dei curiosi
personaggi minori, alcuni anche molto divertenti e interessanti come
Krisma, Gaz Nevada, Skiantos, Confusional Quartet, Neon, Pankow,
Spirocheta Pergoli… Ma il genere ha un cuore anglosassone, noi
primeggiamo casomai in altri campi.
4] Si può dire che la new wave sia un genere ormai morto e
sepolto (musicalmente, perché a livello di pubblico è visibilmente
circoscritto), oppure c’è molto ancora da dire, da fare, da
sperimentare? Quali sono le direzioni secondo te che non furono, o non
sono, abbastanza esplorate?
Vittore :
Non ho mai amato ragionare per definizioni, etichette,
compartimenti stagni. Oggi poi viviamo in un universo talmente
post-post-moderno e post-tutto che ha poco senso voler tenere in vita
una definizione già molto imprecisa all’epoca come “new wave”: nuova
onda rispetto a cosa? Ormai l’oceano è in tempesta, le onde si
incrociano e si frangono in ogni direzione. Direi piuttosto che la new
wave è un tipo di sensibilità che possiamo ritrovare come ingrediente
riconiscibile, assieme a molte altre componenti (punk, soul, blues,
prog, quel-che-vuoi-tu), nella composita alchimia di moltissime
formazioni contemporanee. Ormai è un gioco ad incastro di influenze e
alcuni sono “anche” new wave. Poi ci sono i revivalisti, gli epigoni, i
copisti, che possono avere qualche interesse solo per un pubblico molto
di nicchia. Trovo comunque poco verosimile attendersi una qualsiasi new
wave of the new wave. Meglio una gigantesca onda anomala che sommerge
tutto, se dobbiamo voltare pagina.
5] So che anche tu hai composto dei brevi brani
“musicali”; ti ricordi per quali occasioni? Come li
componesti?
Vittore : ??? Mah, non
so bene a cosa ti riferisci! Ho coordinato dal 1980 al 1984 il progetto
proto-plagiarista Lieutenant Murnau, una sorta di gruppo fantasma che
cuciva musiche preesistenti anziché suonare strumenti in modo
tradizionale: oggi il concetto di sampling e riciclo è banale, ma allora
pareva astruso e irrealizzabile. Nelle Forbici di Manitù in cui ormai
milito da una dozzina d’anni (esce proprio in questi giorni per Small
Voices il doppio album live+remix Tagliare) mi occupo per lo più dei
testi, suggerisco alcune idee ma le musiche le compongono i miei
colleghi. Ho prodotto negli anni alcune cassette di “poesia sonora” e
brani di rumorismi vari sotto sigle diverse (Kibbo Kift, Abstemious
Youth, ecc.), ma avrei difficoltà a definirla “musica”…
6] A parte questo la tua carriera giornalistica hai curato
testi e biografie di gruppi sperimentali nonché il loro nesso con
l’esoterismo [vedasi anche l’articolo allegato NdR]. Ce ne puoi parlare?
Ti sei mai sentito coinvolto in prima persona da queste
tematiche?
Vittore : In realtà non
ho fatto molto, neppure una briciola di quel che avrei voluto/dovuto. In
tanti anni di “militanza” sonora ho curato solo un libro sui Residents e
uno su Psychic TV, il fatto è che ho sempre troppo poco tempo da
dedicare alla musica e non è che il panorama editoriale del settore
offra poi grandi incentivi economici. Inoltre, ho dedicato gran parte
delle mie energie a pubblicazioni di genere extramusicale, occupandomi
di mail art, arte contemporanea e controculture in genere, tramite la
trentina di libri curati per la piccola editrice AAA
(www.aaa-edizioni.it) che ho fondato una decina di anni fa assieme a
Piermario Ciani. L’esoterismo, Aleister Crowley, la magia nera, sono
argomenti di cui ho letto molto con grande curiosità negli anni ’80,
anche in relazione ai gruppi musicali che si ispiravano a quel tipo di
tematiche, ma non mi sono mai sognato di far parte di sette o mettermi a
pronunciare strane formule rituali prima di dormire. Era solo uno tra i
tanti argomenti che mi intrippavano all’epoca. Da tutto si può imparare,
ma retrospettivamente direi che sono stati certamente più utili i libri
di Gurdijeff o Castaneda rispetto a quelli di Crowley e Spare, per non
parlare di biografie di serial killers e simili.
7] Quali sono i tuoi attuali progetti, anche extra
musicali, ovviamente?
Vittore :
Con le Forbici di Manitù stiamo già lavorando al nostro
prossimo album, L’Isola, basato su un racconto originale creato
appositamente per noi dalla scrittrice noir-horror Alda Teodorani.
Continuo a curare esposizioni e progetti artistici, ad esempio
nell’ambito dell’associazione culturale BAU che ho fondato con altri
autori lo scorso anno nella mia città, Viareggio (vedi
www.bauprogetto.it). Ho curato il prossimo libro in uscita per AAA
edizioni, PostcarTs/Cartoline d’artista, e in generale scrivo
ultimamente con maggior diletto per le riviste d’arte, come Juliet e
ArtLab, piuttosto che per testate musicali. Forse questo è un periodo
che non mi offre molti stimoli sonori, ma so bene che si tratta di fasi,
magari presto mi appassionerò ad un nuovo fenomeno. Continuo a
scannerizzare il panorama in cerca di musiche di mio gusto, ad esempio
ultimamente sto ascoltando molto il “nuovo folk” alla Devendra Banhart,
ma non tutto mi convince.
8] Come hai inteso nella tua lunga esperienza di ascoltatore
e di critico l’uso di tematiche estreme nella musica industriale? Quali
sono stati i concetti e i temi proposti negli anni che hai trovato più
conturbanti e stimolanti? Come distinguere poseurs e gruppi
effettivamente ambigui dai veri “terroristi
culturali”?
Vittore : L’interesse
per l’industrial è nato in me dal fatto che gente come Genesis P-Orridge
dei TG o Richard H. Kirk dei Cabaret Voltaire erano attivi anche in
ambito di arte postale. Li ho conosciuti prima come artisti e “per
lettera” che non sui dischi. Quando poi ho avuto in mano i loro primi
dischi, mi è venuto naturale di scriverne, anche perché quasi nessuno li
conosceva o se ne occupava. Ovviamente avevamo molti interessi in
comune: il cut-up, Burroughs, le teorie cospirazioniste, ecc. I gruppi
che hanno qualcosa da dire lo dimostrano molto semplicemente coi loro
lavori, se leggi Wreckers of Civilization di Simon Ford capisci perché i
TG sono stati così importanti e influenti, che mole di lavoro c’era
dietro. I poseurs è facile sgamarli, arrivano in seconda battuta e non
aggiungono nulla di rilevante a quanto già detto, le loro interviste
sono piene di luoghi comuni e non ti insegnano nulla!
9] Si può ancora fare cultura con la musica “difficile”,
oppure al giorno d’oggi è solo un involucro vuoto che spesso ripercorre
inutilmente sempre i soliti usurati cliché? Ripetendo una frase usata
poco fa, si può fare ancora “terrorismo culturale”, antagonismo, oppure
il pubblico è irrimediabilmente ristretto ad autocompiaciuto? Ossia, che
provocazione è, se ora ci sono solo fan? Oppure anche all’epoca le
tematiche erano talmente estreme, così alienandosi qualsiasi ascoltatore
che non fosse un interessato a certi suoni/concetti tale quindi da non
scandalizzarsi, che la situazione in effetti è stata sempre in fondo
“ipocrita”?
Vittore : Oggi il
pubblico in generale è certamente più smaliziato di dieci o vent’anni
fa, comunque il concetto di trasgressione artistica (lasciamo perdere il
terrorismo, con l’aria che tira!) è molto relativo a epoche e luoghi. Se
oggi vai nella profonda provincia puoi scandalizzare con una musica che
in ambito urbano può essere considerata banale e superata. Ci sarà
sempre comunque un grande pubblico che non vuol fare lo sforzo di
ascoltare musiche oggettivamente “difficili” per l’orecchio, ma spesso
sono musiche che NON sono concepite per il grande pubblico, quindi non
può essere altrimenti. Mi stupirei di trovare i Coil o i Current 93 in
cima alle classifiche, nonostante si tratti di musica di grande
spessore: semplicemente, non si adatta ai gusti della massa. Credo che
abbia perso comunque molto del suo significato il fatto di provocare e
scandalizzare, perlomeno come lo si intende comunemente. Oggi è molto
più provocatorio fare una bella canzone che parla di pace (vedi cos’è
capitato di recente a Cat Stevens) che non di omicidi
seriali.
10] Ci sono gruppi che segui ancora volentieri e nuove leve
interessanti?
Vittore : Con gli anni forse si diventa
più cinici ed esigenti, comunque diciamo che ormai non c’è più alcun
artista di cui attendo con trepidazione l’uscita del nuovo album,
ma ci sono vari autori che seguo da sempre e che ancora (di solito)
riescono a non farmi rimpiangere il biglietto d’ingresso (Bob Dylan,
per dirne uno facile). Scoprire un nuovo personaggio interessante
non è semplice con la valanga di uscite e di stimoli, qui sì che ci
vorrebbe una formuletta di magia bianca capace di separare il grano
dalla gramigna! Suppongo che occorra tenere sempre le antenne bene
all’erta, spulciare riviste e fanzine senza dare troppo credito alle
recensioni entrusiaste, ma cercando un qualche elemento che davvero
ci incuriosisce, poi magari ascoltare un qualche assaggio in rete
prima di spendere 20 euro per un cd… È un processo molto personale,
che per ognuno di noi porta a scoperte diverse. Attualmente, col mare
magnum di ristampe che ci circonda, è bello esplorare alternando presente
e passato. Di solito cerco di legare i miei ascolti a qualche buona
lettura, il percorso diventa molto più stimolante. Ad esempio, ho
letto di recente la traduzione che l’amico SubJesus ha fatto del bel
libro Positively 4th Street (Arcana) sul movimento new folk degli
anni ’60, gli inizi di carriera di Dylan, Baez, Richard e Mimi Fariña:
questo mi ha portato a procurarmi il cofanetto dei coniugi Fariña
The Complete Vanguard Recordings e poi l’unico romanzo dello sfortunato
Richard (Così giù che mi sembra di star su, Fandango), morto il giorno
stesso della sua pubblicazione in un incidente di moto. In questo
modo, alternando ascolti e ricerche, la musica può essere meglio vissuta,
compresa e apprezzata. Poi, un argomento tira l’altro…
11] Si può ancora fare del pop intelligente e non banale?
E si potrebbe dunque scalzare l’egemonia della easy listening che
imperversa in radio (medium decisamente sceso in secondo piano) e
televisione?
Vittore : Beh,
certo, tutto sembra già essere stato fatto, ma appunto occorre essere
molto bravi per scrivere brani pop non banali, e non credo che ciò sia
impossibile. Ci vogliono grandi artigiani o geni alla Brain Wilson.
Casomai, non sempre i bei brani pop poi arrivano in classifica, perché
occorre comunque che l’autore sia ben inserito nel grande meccanismo
dell’industria discografica, più brava a traviare e stritolare talenti
che a valorizzarli. Quindi è una specie di mission impossible, ma non
escluderei a priori che ci possano essere ancora artisti in heavy
rotation che sono anche tra i migliori sulla piazza, nel loro campo
(com’è accaduto all’epoca di Beatles e Beach Boys). Se ciò dovesse
accadere, guarderei un po’ più spesso anche MTV…
12] Secondo te, il modo migliore per ottenere nuovamente
musica popolare che effettivamente non sia solo musica leggera, è quello
di offrire realmente un prodotto di qualità, o di riuscire ad
infiltrarsi in qualche modo nel circuito del grande pubblico? Oppure
forse è solo una questione di grandi cicli, per cui ci saranno sempre
“alti” e “bassi” nella musica, nonostante le imposizioni dell’egemonia
mediatica?
Vittore : La seconda
delle due. Il discorso dell’infiltrazione e dello scontro frontale fra
underground e overground mi pare obsoleto e superato dai fatti. Le
ideologie ormai sono deboli deboli, l’antagonismo delle controculture mi
pare in crisi di identità da anni, un po’ come la sinistra italiana. Non
per questo bisogna rassegnarsi o diventare apatici, oppure aspettare che
arrivi Babbo Natale o la fine del mondo. Mi sorprende il fatto di come,
passato l’hype del momento, nessuno parli più della “fine dell’industria
discografica come la conosciamo”, della rivoluzione prossima ventura
determinata dalla musica in rete: per un paio di anni la cosa ha fatto
notizia, ma ora non se ne sente più dire molto. Oppure si cerca di
normalizzare la situazione, con le major che cominciano a vendere più
massicciamente in rete, la lotta al peer to peer, il lavaggio del
cervello a base di miti generazionali privi di spessore, le webzine
copia slavata delle riviste cartacee. Sarò un inguaribile utopista, ma
lo strumento internet e le attuali tecnologie di riproduzione mi pare
che contengano le potenzialità di uno sconvolgimento sonoro pari al punk
elevato al cubo, ma occorre la giusta miccia che faccia esplodere
qualcosa di grosso. Trovo piacevole ed eccitante annusare in giro
pregustando qualcosa del genere, o meglio ancora lavorare (nel mio
piccolo) in questa prospettiva, anziché chiudermi in nostalgiche
contemplazioni, vittimismo o eterne lamentele. Tutte queste migliaia di
dischi, invece di tenerli qui ad ammuffire, perché non
condividerli…